Manipolazione del mercato, patti segreti, regie occulte, accordi sottobanco, complotti governativi. Tutte balle. Ci eravamo domandati nei giorni scorsi come fosse possibile che quei «gravi indizi» ravvisati dalla procura di Milano sulla ragnatela messa in atto da Francesco Milleri (Delfin) e Francesco Gaetano Caltagirone con la complicità dell’ad di Mps Luigi Lovaglio e persino del ministro dell’Economia, Giancarlo Giorgetti, per papparsi Mediobanca fossero completamente sfuggiti alle authority competenti. Per carità, leggendo il decreto di perquisizione del 25 novembre il sospetto che il teorema accusatorio dei pm fosse un mirabolante castello di carte era già venuto a molti. Ma ora i dubbi assumono qualche elemento di concretezza in più. Dopo mesi di attente indagini sulla vicenda, infatti, la Consob è arrivata alla conclusione che la scalata di Siena a Piazzetta Cuccia sia stata niente di più che una ben strutturata operazione di mercato. Senza trucchi né inganni. Le osservazioni dell’authority sono messe nero su bianco in un documento della Divisione vigilanza emittenti datato 15 settembre, già inviato alla procura e svelato ieri dal Sole 24 Ore. Tenetevi forte. Per l'Autorità di vigilanza «sulla base delle attività di verifica svolte, non sono sussistenti quegli indizi gravi, precisi e concordanti idonei e necessari per accertare la sussistenza di un'azione di concerto tra i soci Delfin, Caltagirone e il Mef attuata anche tramite Mps».
Non è finita. «Più in particolare, non sono stati rilevati accordi verbali o scritti, espressi o taciti, ancorché invalidi o inefficaci, tra i soggetti sopra richiamati, che rappresentano il presupposto della relazione consensuale in cui si sostanza l'azione di concerto; né la sussistenza di tali accordi pare potersi inferire in via indiziaria, attraverso la valorizzazione di elementi fattuali, quali la constatazione di una condotta allineata da parte di Milleri, Caltagirone e Mps». Arriviamo al punto. Come abbiamo osservato anche noi poveri cronisti di Libero, dallo scorgere una convergenza di interessi a pensare che i soci abbiano brigato ai danni del mercato ce ne passa. Alla stessa conclusione, guarda un po’, è giuntala Consob, secondo cui le condotte di Delfin e Caltagirone, «sebbene allineate, non appaiono sufficienti a rilevare unicamente una linea di azione concordata avente l'obiettivo specifico di controllare Mediobanca e Generali, per tramite dell'Ops, essendo condotte coerenti anche con il perseguimento di interessi economici propri di ciascuno di detti azionisti, autonomi e diversi dalla volontà di acquisizione e gestione congiunta del controllo» di Mediobanca e Generali. Anche i tempi sembrebbero smentire le accuse.
La Consob sottolinea infatti che la «documentazione acquisita» mostra come «un'operazione di integrazione con Mediobanca fosse menzionata tra le varie ipotesi di sviluppo di Mps prese in considerazione da Lovaglio già a fine 2022, dovendosi quindi escludere a monte la riconducibilità di tale opzione esclusivamente ad un accordo pre-esistente tra le parti volto a fare acquisire un'influenza dominante di Delfin e Caltagirone su Mediobanca-Generali per il tramite di Mps». Fonti vicine al dossier spiegano che «Consob e Procura hanno collaborato e continuano a collaborare», ma l’authority per ora sembra avere le idee chiare: «Non sono emersi elementi fattuali, documentali, probatori o indiziari che consentano di ravvisare, nel caso di specie e allo stato degli atti la sussistenza di un'azione di concerto». Per colpa del presunto patto occulto Mps negli ultimi giorni ha perso il 14% in Borsa. Chi paga?




