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La Fornero e i suoi vice non sistemano i guai e spariscono

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Sfuggono alle nostre domande. Ma noi continuiamo a pubblicare le storie dei lettori, che si vedono scippata la pensione a cui hanno diritto e sono obbligati a pagare un riscatto se vogliono riprendersela

Andrea Tempestini
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Da giorni chiediamo di sapere perché onesti lavoratori che hanno faticato una vita, versando trenta o quarant'anni di contributi, una volta giunto il momento di ritirarsi e godersi l'agognata pensione, debbano pagare decine di migliaia di euro. Ci siamo rivolti al ministro del Welfare Elsa Fornero, ma invece di una risposta ci siamo scontrati con il muro invalicabile di un'agenda fittissima. Abbiamo contattato il viceministro al Lavoro, vale a dire il vice Fornero, ma il professor Michel Martone ci ha chiesto tempo per documentarsi. Abbiamo bussato anche alla segreteria dell'altra vice Fornero, ma anche qui la risposta è stata inappellabile: la sottosegretaria Maria Cecilia Guerra ha la delega per le politiche sociali, non per le pensioni e dunque non parla di ricongiungimenti onerosi. Insomma, su una materia che sta mettendo in difficoltà centinaia di migliaia di lavoratori, ipotecando il loro futuro e impedendo a persone che hanno lavorato una vita di godere i frutti del proprio impegno, non c'è verso di ottenere un chiarimento. Come abbiamo spiegato nei giorni scorsi, quando abbiamo pubblicato i primi articoli, qui non siamo di fronte a gente  che non ha raggiunto il minimo contributivo o non ha l'età per accedere alla pensione. Qui ci troviamo dinanzi a un'autentica truffa, in quanto lavoratori che non hanno mai cambiato in quarant'anni la propria scrivania o la macchina su cui lavoravano si vedono negato un diritto per colpa  di un cavillo, o per meglio dire, di una legge sbagliata. La storia è quella che abbiamo descritto. Anzi: che hanno raccontato i tanti lettori con le loro lettere. Come per esempio Marco Mazzilli, la cui moglie ha iniziato a lavorare nel 1976 in Olivetti per poi passare a Omnitel, società del gruppo di Ivrea che successivamente è entrata a far parte di Vodafone. In 36 anni la signora non ha mai cambiato lavoro, ma in compenso sono cambiati per lei i datori di lavoro e i sistemi contributivi. Risultato: se vuole andare in pensione deve pagare 70 mila euro. Stessa storia per un'altra lettrice, la quale è sempre rimasta al servizio della stessa amministrazione pubblica, settore comunicazione. Peccato che otto anni fa una circolare del ministero del Lavoro abbia imposto alla direzione dalla quale dipendeva di non versare più i contributi all'Inps, com'era avvenuto per gli anni precedenti, ma all'Inpgi, l'istituto previdenziale dei giornalisti. Risultato: se vuole prendere la pensione la signora deve mettere sul piatto 190 mila euro in un sol colpo, oppure 1.935 euro in comode rate mensili per i prossimi dieci anni. I casi potrebbero continuare, ma leggendoli chiunque si rende conto che siamo di fronte ad un'ingiustizia, perché le persone in questione hanno pagato, versando ciò che chiedeva loro la legge, ma oggi la legge si fa beffa di loro, pretendendo altri soldi. Quello cui stiamo registrando è un sopruso bello e buono, un atto d'imperio che non tiene in alcun conto non solo le legittime aspettative e i diritti acquisiti, ma neppure il buon senso. Come si può consentire a chi non ha versato i contributi di godere dell'assegno Inps grazie ad un prepensionamento, mentre a chi ha subito per quarant'anni il prelievo previdenziale si nega un analogo trattamento? Come risulta di tutta evidenza, la disparità è immorale. La pensione è stata presa in ostaggio e per liberarla, come nei rapimenti, si pretende un riscatto che le famiglie non hanno e se ce l'hanno è tutto quanto hanno messo da parte in una vita. Di fronte al sequestro dell'assegno previdenziale di chi ha lavorato 40 anni non si può restare insensibili. Noi abbiamo chiesto spesso una riforma che spostasse l'età pensionabile a 65 anni, ma certo non volevamo questo macello. Di sicuro non immaginavamo che gli uffici ministeriali producessero un meccanismo così perverso e punitivo. Ora non ci si può trincerare dietro frasi di circostanza, né sfuggire alle domande. È per questo che invitiamo i lettori a segnalarci che fine hanno fatto il ministro Fornero e i suoi vice. Li vogliamo rintracciare, tra un convegno e un talk show per porre loro la fatidica domanda: come risolvete la questione? E fino a che non ci risponderanno non molleremo. di Maurizio Belpietro

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