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Il Pd prepara i trabocchetti per Letta

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Dalle nomine alle tasse, i democratici tramano per irritare il Pdl. L'obiettivo è portarlo alla rottura

Nicoletta Orlandi Posti
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Quando nacque, il governo Letta dimostrò subito di essere gracile, inciampando dopo pochi giorni sulla buccia di banana dell'Imu. Tuttavia, man mano che passano le settimane, la già debole costituzione dell'esecutivo sembra peggiorare, al punto da far temere il peggio. Non alludiamo alle piccole scaramucce che ogni tanto insorgono fra i componenti della variopinta maggioranza che lo sostiene, come ad esempio tra Letta e Mario Monti. Quelle sono bazzecole, perché anche se per tenere a bada l'ex premier è dovuto intervenire Napolitano, il professore è un cane che abbaia ma non morde. Come si è capito con la recente intervista in cui lamentava di essere trascurato in Patria, il bocconiano è in crisi d'astinenza da notorietà e soffre per carenza di visibilità, dunque va in cerca di qualcosa che lo riporti sulle prime pagine dei giornali. Ciò nonostante, da quel fronte il presidente del Consiglio non ha nulla da temere, perché la minaccia di Monti di uscire dal governo è una pistola ad acqua, con la polvere da sparo bagnata. Se il professore lascia, non è detto che lascino anche i suoi. Anzi, è assai probabile che l'ex premier si ritrovi a far le valigie in solitudine. Casini e la sparuta pattuglia dell'Udc di certo non lo seguirebbero e per quanto riguarda altri esponenti di Scelta civica non è il caso di mettere la mano sul fuoco.  No, i pericoli per Enrico Letta non vengono dall'esterno e neanche dal Popolo della libertà (o come diavolo si chiamerà fra un mese), ma dall'interno del suo partito. È lì che si annida chi trama nell'ombra per poterlo mandare a casa in fretta e fare in modo di tornare alle elezioni prima possibile. Non si spiegherebbe diversamente il cosiddetto caso Santanchè, se non come una mina innescata lungo il percorso del governo. La storia crediamo sia nota, ma per i distratti la riassumiamo brevemente. Quando Maurizio Lupi è stato nominato ministro dei Trasporti ha lasciato vacante l'incarico di vicepresidente della Camera da lui prima ricoperto. Di regola il posto spetterebbe a un esponente del centrodestra e il Pdl per l'incarico ha indicato Daniela Santanchè. Peccato che il Pd non voglia votarla e minacci, nel caso in cui il centrodestra forzi la mano, di eleggere un grillino o un esponente di Sel. Così da due mesi la seggiola è vuota e l'ufficio di presidenza è costretto agli straordinari per colmare l'assenza. Che il presidente Boldrini e i suoi bracci destri facciano un po' di super lavoro, in sé non è un male, anche perché è noto che in Parlamento non si ammazzino di fatica. Ma qui non vogliamo discutere se sia giusto o meno avere quattro vicepresidenti, bensì se sia accettabile che il Pd voglia decidere anche le persone che il Pdl deve nominare. Nessuno in passato si è messo a sindacare sulle scelte degli altri partiti e tutti in blocco hanno votato il candidato designato dalla parte che ha titolo per farlo.  Così è stato per Rosy Bindi e per Rosi Mauro. Così è capitato per la nomina di Sergio D'Elia a segretario d'aula: nonostante avesse una condanna sulle spalle per l'uccisione di un agente, nessuno si è fatto venire problemi di coscienza. E allora, perché tanti scrupoli con Daniela Santanchè? La risposta sta nella voglia di creare difficoltà a Letta, provocando un incidente a bella posta, nella speranza che alla fine il governo più equilibrista della storia caschi andando in pezzi. Ma nonostante il desiderio che una parte del Pd ha di porre fine in fretta all'esperienza delle larghe intese, anche se la «pitonessa» (così l'ha definita il Foglio di Giuliano Ferrara) venisse bocciata non crediamo che il Pdl uscirebbe dalla maggioranza. Il vero rischio, al contrario, arriva dal fronte economico. Saranno le scelte sull'Imu e sull'Iva le vere sfide in cui i falchi del Pd tenteranno l'affondo finale. E infatti sulla riforma dell'Imposta sulla casa girano strane ipotesi, come ad esempio quella di far pagare la tassa in base al redditometro, cioè a uno degli strumenti fiscali più temuti e contestati dall'elettorato di centrodestra. Visto che  a mandare a gambe all'aria l'esecutivo, finora non sono bastate le condanne di cui è stato oggetto Silvio Berlusconi e, probabilmente, neppure lo sgambetto alla Santanchè, la sinistra contraria alle larghe intese potrebbe tentare di sabotare le misure economiche, rendendo insopportabile per il Pdl la prosecuzione dell'alleanza.  Fantasie, come poco tempo fa ha avuto modo di raccontare in tv Guglielmo Epifani? Per scoprirlo non servirà molto, perché fra poche settimane il governo  dovrà prendere una decisione sull'Imu e allora sapremo quanto sono di fragile costituzione le larghe intese. Nel frattempo, si accettano scommesse. di Maurizio Belpietro @BelpietroTweet

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