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Il Pd pronto al suicidio per fermare Renzi

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La trappola per "Pierino" è Palazzo Chigi: sarà candidato premier, ma ostaggio. I big si tengono il partito: decideranno le liste e imporranno la linea

Andrea Tempestini
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L'ultimo soprannome affibbiato  a Guglielmo Epifani dai suoi stessi compagni pare sia Sedativo. Da quando è stato eletto segretario del Pd, l'ex sindacalista infatti calma gli animi meglio del Valium e per evitare che nel partito il dibattito degeneri in rissa è preferibile al Lexotan. Frasi di velluto e discorsi da incantatore di serpenti per tenere a bada renziani, bersaniani e le mille anime del partitone rosso da mesi in lotta. L'argomento al centro dello scontro è - come ovvio -  il congresso, dal quale, dopo le dimissioni di Pier Luigi Bersani, dovrebbe scaturire il nuovo segretario, incarico attualmente ricoperto dallo stesso uomo che guidò la Cgil. E se la discussione è tanto accesa è perché l'adunata dei delegati del Partito democratico è l'ultima trincea in cui i burocrati del Pd  si sono allineati a difesa del loro potere: lì, su quella linea, sperano di riuscire a inchiodare la lunga corsa del sindaco di Firenze, impallinandolo una volta per tutte. Per una nomenclatura rossa abituata a considerare il partito come una cosa propria, Renzi è il pericolo numero uno, soprattutto quando manifesta l'intenzione di rottamare un po' di dirigenti, dai quali non è  escluso neppure Bersani, che per eccesso di legislature può essere candidato solo a restare fuori dal Parlamento, proprio come accadde a D'Alema e Veltroni. Per tale ragione, piuttosto di cedergli la guida del Botteghino, gli eredi del glorioso Pci sarebbero disposti a regalargli Palazzo Chigi.  Anzi:  nel caso si tornasse alle urne, la presidenza del Consiglio gliela offrirebbero volentieri pur di levarselo dai piedi. O, meglio, per rinchiuderlo in gabbia. Se il Pierino toscano scegliesse il governo, rinunciando a guidare il partito come i vecchi boiardi post comunisti suggeriscono, la trappola scatterebbe in un attimo. È infatti il partito che sceglie chi mettere in lista alle elezioni e, come sa bene Letta,  sempre il partito decide quale linea appoggiare una volta nato l'esecutivo. Dunque, ammesso e non concesso che in caso di consultazioni elettorali il sindaco di Firenze riuscisse a spuntarla e divenisse premier, poi dovrebbe fare i conti con le guardie rosse, cioè con i burocrati del suo  partito, e dunque sarebbe costretto a piegarsi al loro volere pur di poter governare. Il congresso è perciò una specie di linea Maginot che i bersaniani hanno eretto per bloccare l'avanzata di Renzi. Dirottarlo verso la stanza dei bottoni per poi togliere la corrente ai bottoni è lo scherzo che gli preparano. Perciò stanno tirando tanto lunga la storia dell'assemblea di partito. Fosse stato per loro addirittura non l'avrebbero neppure convocata, rinviando alle calende greche l'appuntamento e tenendosi stretto Epifani.  Tuttavia la minaccia di una denuncia all'autorità giudiziaria fatta da alcuni renziani ha indotto la segreteria a cambiare atteggiamento fissando l'adunata per la fine di novembre. Ogni cosa al suo  posto dunque? Manco per idea. Anche se convocato, per il sindaco il congresso è una fregatura. Innanzitutto per il giochetto degli aventi diritto al voto: annunciando ai compagni la data per riunire i delegati, Epifani ha indicato la necessità di fissare alcune regole, tra cui - guarda caso - i criteri per l'elezione del segretario. Tradotto, significa che nel Pd stanno già cucinando un piattino per eliminare il maledetto toscano. In cosa consista la ricetta ammazza Renzi è presto detto. Invece di primarie aperte, in cui chiunque lo desideri possa votare per il nuovo segretario, la direzione del partito intende optare per  le primarie a numero chiuso, cioè riservate ai soli iscritti. Certo non ci sarebbero le oceaniche file di elettori come quando si trattò di decidere il candidato premier e la scelta cadde su Prodi, ma in compenso i burocrati avrebbero la certezza di controllare il voto e sconfiggere Renzi per poi dirottarlo a Palazzo Chigi.  Così il rottamatore finirebbe rottamato. La guerra del congresso si riduce dunque a questo. Alla battaglia finale tra la vecchia guardia che non intende mollare e la nuova che promette di non farsi fregare. Dire come finirà è difficile e dunque non azzardiamo pronostici. Forse alla fine prevarrà Renzi, ma lo scontro dentro il Pd sarà talmente forte da lasciare il segno. E, soprattutto, da lasciare agli elettori della sinistra un leggero senso di rigetto. Insomma, se c'era un modo di rianimare il Movimento Cinque Stelle facendogli una trasfusione di voti, quelli del Partito democratico lo hanno trovato. Un travaso sotto Sedativo. di Maurizio Belpietro @BelpietroTweet

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