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Su lavoro e articolo 18 Renzi si rottama

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Continuano i bluff del leader Pd. Prima ha chiesto nuove regole ed è stato zittito dalla Cgil. Ora parla di assegni di disoccupazione ma non dice dove prenderà i soldi

Giulio Bucchi
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«Se perdi il posto di lavoro, lo Stato ti dà una mano».  Così  Matteo Renzi ha sintetizzato in diretta tv la sua proposta per affrontare la disoccupazione. L'idea, che sarà formalizzata entro gennaio, è semplicissima, tanto semplice che c'è da chiedersi perché nessuno l'abbia pensata prima. In pratica si tratta di  consentire alle aziende in crisi di licenziare le persone di cui non hanno più bisogno. In cambio i lavoratori lasciati a casa riceveranno un'indennità  per due anni, il tempo necessario  a cercarsi un altro posto. Così, con un biennio garantito dallo Stato, i neodisoccupati potranno con comodo trovarsi un lavoro alternativo e riusciranno a  guardare negli occhi i loro figli senza pericolo di tradire la disperazione.  Un'idea degna di Babbo Natale. Tanto bella da ricordare la Danimarca e la Scandinavia, dove i sistemi di welfare per chi viene mandato a casa esistono da decenni. L'unico neo della proposta renziana è che noi non siamo né la Danimarca né la Scandinavia e soprattutto non abbiamo le risorse di cui dispongono i Paesi del Nord. Se non siamo in grado di ridurre il cuneo fiscale, cioè le tasse che gravano sulla busta paga e facciamo finta di averle tagliate regalando a ogni lavoratore cento euro l'anno per poi riprendendercele con l'aumento dell'Iva, dove troviamo i soldi per assicurare ai disoccupati un sussidio mensile che consenta loro di tornare a casa sereni e di guardare in faccia i figli?  Noi non siamo dei ragionieri, ma quattro conti comunque li sappiamo fare e, sentita la proposta del sindaco di Firenze, ci siamo messi all'opera con la calcolatrice. Stimato che in Italia i disoccupati siano tre milioni e mezzo (3,2 milioni secondo l'Istat, 3,9 secondo la Uil) e moltiplicando la cifra per un'indennità da mille euro al mese, cioè la sola che sia in grado di togliere l'ansia a chi non riesce a mettere insieme il pranzo con la cena, fanno 3 miliardi e mezzo di euro. Al mese. Cioè più o meno quanto vale un punto di Iva o quanto vale l'intera Imu sulla prima casa che ancora il governo Letta non è riuscito a togliere nonostante le promesse fatte otto mesi fa in Parlamento. Se si considera tutto l'anno, fanno quasi 40 miliardi e per trovare i soldi necessari a pagare il sussidio a chi è rimasto senza lavoro bisogna mettere un'Imu prima casa ogni mese. Oppure aumentare ogni trenta giorni l'Iva, passando in un anno dal 22 al 34. Oppure? Ecco,  su come troverà i fondi necessari a finanziare l'indennità di disoccupazione Renzi non è stato chiarissimo. Anzi, diciamo che è stato sfuggente. Fabio Fazio, il mastino dell'informazione di Rai 3, non lo ha incalzato come fa di solito per avere conto di dove prenderà i soldi e così nell'etere e sulle prime pagine dei giornali è passato il concetto che Renzi  ha un piano per il lavoro che prevede l'indennità a favore di chiunque resti disoccupato. In realtà, finora, il sindaco di Firenze ha una promessa molto accattivante ma altrettanto vaga, senza cioè alcun riferimento concreto che consenta di valutare se si tratti di una boutade oppure di qualcosa di serio. Attualmente in Italia chi resta a casa ha un sistema di protezione. Se non viene espulso definitivamente dall'azienda, se cioè non viene licenziato, può beneficiare della cassa integrazione o della mobilità e oggi in queste condizioni ci sono circa 1,8 milioni di lavoratori. Se un dipendente perde il posto, invece della cig o della mobilità, beneficia di un sussidio temporaneo, che costa allo stato 13,6 miliardi. Anche utilizzando queste risorse per arrivare a una vera indennità che permetta a ogni lavoratore di non avere l'ansia di non sapere come mantenere la famiglia, mancano sempre all'appello altri 26 miliardi. E Renzi dove li trova? Mistero. Non vorremmo che la proposta del neo segretario  del Pd  facesse il paio con quell'altra che lanciò durante le primarie dallo studio di Porta a Porta, quando disse che, se fosse stato al governo, per reperire i fondi necessari a tagliare il cuneo fiscale (valore 4 miliardi), avrebbe toccato le pensioni d'oro, compresa quella di sua nonna. Ci sono volute settimane e l'intervento del professor Tito Boeri su Repubblica per fargli capire che - ammessa e non concessa la costituzionalità di una misura  che colpisce una sola categoria - con il taglio agli assegni previdenziali più ricchi al massimo avrebbe raccolto i soldi per dare la mancia ai lavoratori, di certo non per ridurgli le tasse.  Il sospetto è insomma che, come per nel caso dell'articolo 18, il sindaco di Firenze abbia fatto i conti senza l'oste.  Sul vincolo che impedisce di licenziare i fannulloni, Renzi ha fatto subito marcia indietro appena la Cgil ha abbaiato. E sull'indennità ai disoccupati è assai probabile che il dietrofront avvenga appena la ragioneria dello Stato gli ricorderà che, in base alla legge, ogni provvedimento, anche quello più popolare, deve avere una copertura finanziaria. Se non si sa chi paga, non si fa. E la rottamazione non c'entra.    di Maurizio Belpietro

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