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Caso marò, per riportarli a casa li fanno condannare

L'inaccettabile compromesso tra l'Italia e l'India: ogni Paese rimpatrierà i propri detenuti ma è come accettare una sentenza di colpevolezza

Lucia Esposito
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di Maria Giovanna Maglie Una non fa in tempo a pensare che una bandierina della Marina militare italiana sulle Ferrari in corsa non è poi una gran cosa rispetto alla gravità dell'affronto che il governo indiano ha riservato al governo e al popolo italiano, che il governo indiano si permette pure di risentirsi e darci lezioni di spirito sportivo nelle competizioni, aiutato da quel gentiluomo del boss della Formula Uno, Ecclestone, quello a cui piacevano tanto Saddam Hussein e i talebani, ma che più di tutto rimpiange Hitler, e che oggi ci dà lezioni su sport e politica che non s'hanno da mischiare.  E poi una non fa in tempo a indagare sulla soffiata ricevuta di uno scambio di prigionieri - in stile terroristi palestinesi - come possibile soluzione del problema dei nostri due marò, non fa in tempo a dirsi che è fantapolitica, e invece scopre che è tutto vero. Anzi peggio, perché l'accordo è stato fatto prima e in assenza di certezza di una condanna dei nostri militari, dunque suona come un'autorizzazione neanche tanto implicita alla condanna. È una vergogna, ecco cos'è. E non per il governo Monti, non per il ministro Terzi, inutile chiedere a un governo - tanto più se tecnico - di riempire il vuoto provocato dal disinteresse del Quirinale, del Parlamento, delle Forze Armate, del popolo. È una vergogna soprattutto per il Parlamento stesso che dell'intera vicenda si è completamente lavato le mani, e ora se la cava con una legge pilatesca, in spregio a qualunque principio. Sono gli stessi che facevano polemica e menavano scandalo se il governo Berlusconi pagava un riscatto in Iraq. Ora gli sta bene scambiare 18 detenuti italiani in India con 108 detenuti indiani in Italia - uno a dieci, stile rappresaglia nazista. MARCHIO D'INFAMIA E fin qui ci potremmo perfino accordare, fare i pragmatici a oltranza. Ma a questi nostri parlamentari sta bene anche che quest'accordo, ratificato di fronte all'ennesimo rinvio ingiustificato di pronunciamento, giustifichi e perfino autorizzi i tribunali e il governo indiano a processare illegalmente e condannare altrettanto illegalmente due militari che facevano il loro dovere, in servizio anti-pirateria su una petroliera italiana. Questa è la casta che fa più schifo, altro che buvette o auto blu. I militari e le loro famiglie se lo ricordino, quando gli andranno a chiedere un voto. E succederà presto. Ora, è sicuramente vero che dopo più di otto mesi fra detenzione e arresti domiciliari, la cosa più importante è che Massimiliano Latorre e Salvatore Girone tornino a casa. Ma se condannati, dovrebbero tornare per scontare la pena, dunque con un marchio di ignominia, almeno stando all'accordo. Non consola che qualcuno dei parlamentari strizzi l'occhio e ricordi lo stile Baraldini,  ovvero l'imbroglio del governo di centro sinistra: far tornare un condannato promettendo che andrà in prigione per poi lasciarlo libero. Possibile che non ci fossero altre forme di pressione internazionale, come il ministro degli Esteri aveva auspicato e annunciato?  Giovedì Palazzo Madama ha approvato il decreto che trasforma in legge l'accordo in questione tra Italia e India sul «trasferimento delle persone condannate», un accordo del 10 agosto  approvato dalla Camera. Lo scopo è purtroppo esplicito,  un'uscita di sicurezza da percorrere qualora la Corte Suprema di Nuova Delhi non decida per l'assenza di giurisdizione indiana in relazione al presunto reato dei due marò, accusati com'è noto di aver ucciso due pescatori nel corso d'una missione. I due fanti di Marina vengono di fatto equiparati a dei criminali, ma per il sottosegretario agli Esteri Steffan De Mistura l'accordo  «è simile a quelli stretti con molte altre nazioni». Dimentica di precisare - e dimenticano di chiederglene conto - che mai è stato stretto un accordo con le spalle al muro, con la pistola puntata alla tempia di uno Stato da parte di un altro Stato. AFFARI E DIGNITA' Eppure anche dopo l'ultimo dei tanti rinvii di una decisione sulla sovranità, il ministro Giulio Terzi aveva ribadito la posizione italiana, «cristallina e limpida sul piano del diritto e sulla sovranità in alto mare». Se la sentenza dell'Alta Corte indiana dovesse discostarsi da tali basi giuridiche con una sentenza negativa, aveva aggiunto, l'Italia avvierà «tutta una serie di azioni a livello internazionale perché si aprirebbe anche sul piano legale una controversia tra Stati». «Ma non voglio neanche immaginare che questo debba avvenire - aveva aggiunto -. Se c'è una cognizione dei valori fondamentali nel sistema giuridico indiano, deve esserci una conclusione che vada nel senso a noi favorevole». Speriamo di sbagliarci, speriamo che la sovranità e il diritto prevalgano nonostante questa infame calata di braghe. Certo, ci siamo affrettati a preparare una bella soluzione all'italiana.  Può darsi che gli affari siano salvi. La dignità non lo è.

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