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Le figlie di Mandela fanno causa a papà per i soldi

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Guerra sulla gestione dell'immagine del leader

Lucia Esposito
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  Come vivere di rendita campando sul cognome del capo-famiglia: un'icona della lotta non violenta per il rispetto dei diritti umani. Sfruttando il suo nome, il suo carisma, la sua leggenda vivente e poi litigare, accapigliarsi, mettersi l'uno contro l'altro in fazioni, fino a fare causa allo stesso patriarca, senza il quale non ci sarebbe nulla, né soldi né fama.  È quello che succede nella famiglia del premio Nobel per la Pace Nelson Mandela. Due figlie sono pronte a far causa al padre, primo presidente di colore del Sudafrica e simbolo della lotta contro l'apartheid. Non è la prima volta che «il clan» finisce nella bufera, non fosse altro per lo sfruttamento di ogni aspetto che riguarda l'ormai anziano leader (95 anni il 18 luglio): il suo nome sembra un marchio, che si fa pagare, perché porta sempre guadagno.  E l'ultima diatriba non fa eccezione. Due figlie di Mandela, Zenani e Makaziwe (tra loro sorellastre), avrebbero intenzione di fare causa al padre per ottenere il controllo dei suoi soldi. A riferirlo è il quotidiano sudafricano The Star, secondo il quale le due donne punterebbero a contestare una sentenza dell'aprile 2004 dell'Alta corte di Johannesburg, che riconosceva a Mandela il diritto di ordinare al suo ex legale, Ismail Ayob, di smettere di gestire i suoi affari finanziari, personali e legali. La vicenda è complessa e se non fosse che Nelson Mandela è una persona sembrerebbe la spartizione di un'azienda. Attualmente Zenani e Makaziwe sono rappresentate da Ayob nella causa avviata di recente contro l'avvocato George Bizos, contro l'imprenditore e ministro Tokyo Sexwale e contro il legale Bally Chuene, perché vengano rimossi dalla direzione di due fondi di investimento di Mandela (l'Harmonieux Investment Holdings e il Magnifique Investment Holdings), che valgono 1,7 milione di dollari. Questi due fondi furono creati proprio dall'ex legale di Mandela con l'intento di raccogliere «i profitti dell'impronta della mano di Madiba» a beneficio dell'ex presidente sudafricano e dei suoi figli. Madiba è il soprannome di Mandela, dal nome della sua tribù Xhosa, mentre l'oggetto della contesa è letteralmente una parte del corpo del leader anti-apartheid. L'impronta vera della sua mano, infatti, è diventata un simbolo, usato per magliette e altri gadget. Al centro dell'immagine c'è una macchia bianca la cui forma ricorda l'Africa. Uno dei loghi più famosi, una delle tante fonti di guadagno.  Secondo The Star, nella dichiarazione scritta presentata la scorsa settimana all'Alta corte, l'attuale avvocato di Mandela, Chuene, ha raccontato che nel 2011 lui, Bizos e Sexwale rifiutarono di cedere alle figlie il denaro dei fondi senza una giustificazione legale. Questa decisione avrebbe spinto Makaziwe e Zenano ad avviare la causa contro di loro e a contestare la sentenza del 2004.  Fin qui potrebbe sembrare una disputa legale, se non fosse che nella stessa deposizione, Chuene ha spiegato che fu lo stesso Mandela – in una riunione tenuta nell'aprile del 2005 – a dichiarare di non volere che le figlie venissero coinvolte nella gestione dei suoi affari. La vicenda lascia l'amaro in bocca e, purtroppo, non è la prima volta che succede una cosa del genere. Quasi quattro anni fa, era il giugno del 2009, scoppiò lo scandalo «M Project», che coinvolse Mandla Mandela, suo nipote, finito nella bufera per le indiscrezioni che lo avrebbero visto coinvolto nella vendita dei diritti tv per i funerali (ancora da fare) di suo nonno. (di Simona Verrazzo)   

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