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I buddisti in rivolta contro gli islamici: "Per ognuno di noi ucciso bruceremo una moschea"

Sara Ghisoni
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“Per ogni buddista ucciso, bruceremo una moschea”: questo è quanto affermato da un monaco buddista, poi scomunicato. Non era però una voce isolata la sua, sulla stessa linea si pone un altro monaco, Wirathu, conosciuto come il “Bin Laden birmano”: “Non è il momento per la calma. E' il momento di reagire”. La Stampa riporta come la paura dell'invasione islamica sia diffusa in Thailandia, in Birmania e nello Sri Lanka, nonostante i buddisti siano a maggioranza schiacciante in quelle regioni (sopra al 70% ovunque). Lo stato d'assedio è denunciato da molti monaci ed incitano a reagire, così si esprime Wirathu: “I musulmani si riproducono in fretta, ci rubano le donne, le violentano. Vorrebbero occupare il nostro Paese. Ma non glielo permetterò. La Birmania deve restare buddista.” Il clero buddista legittima l'uso della forza rifacendosi ai testi sacri, i quali lo condannano ma considerano lecito il diritto di autodifesa. La tutela è nei confronti di una minoranza islamica che è accusata di intraprendere una guerra demografica per invadere il paese. Questa è la linea intrapresa dai monaci buddisti a Rakhine, la regione al confine con il Bangladesh dove si ha un continuo esodo musulmano: incitano le milizie paramilitari buddiste a farsi giustizia da soli e a cacciare la “minacce interne” dalla Birmania buddista.

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