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Renzi telefona ai Marò,la Sgrena li insulta

Matteo chiama i fucilieri: "Sono una priorità". La giornalista rossa per cui morì Calipari lo gela: "Sono assassini"

Matteo Legnani
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Due pesi e due misure. Signore e signori, ecco a voi la rettitudine con la quale l'ex inviata del Manifesto Giuliana Sgrena legge i fatti. Il “soldato” Nicola Calipari, arruolato dalla polizia nei Servizi Segreti, è un eroe perché ha perso la vita per salvare la sua. E' successo il 4 marzo 2005, a Baghdad, nel corso della fase finale della liberazione della giornalista. Oggi l'esperta cronista, finita nel dimenticatoio, torna a far parlare di sé per avere evitato -ancora una volta - di usare un po' di giudizio. Stavolta fa sobbalzare gli italiani restando a casa sua, ma puntando il dito contro i due marò ancora prigionieri in India. Dal 15 febbraio 2012 Massimiliano Latorre e Salvatore Girone, due uomini del Battaglione  San Marco, sono abbandonati a loro stessi a Nuova Delhi, per colpa di un governo che non ha fatto per i propri soldati - veri servitori dello Stato, finiti nei guai durante un'operazione di servizio in difesa di una nave italiana - ciò che nove anni fa fece per Giuliana, che oggi sputa fango su questo Paese e i suoi militari.  Il commento della Sgrena è esploso ieri, a  margine del giuramento del nuovo governo che invece, per fortuna, attraverso i suoi massimi esponenti mostrava la volontà di risolvere quanto prima il calvario dei nostri fucilieri. "È sciocco, ma ancor più umiliante, che Vladimir Luxuria nella sua disavventura russa sia stato paragonato al caso dei due marò. Cosa che mi lascia totalmente basita e più che altro inorridita dell'accostamento in quanto si tratta di casi totalmente differenti. Aggiungerei inoltre", ha dichiarato, "che sono stanca io stessa di venir sempre paragonata al caso dei militari italiani. Sia io che Vladimir infatti non abbiamo nulla da spartire con questi due individui, noi eravamo in missione di pace, Vladimir poi, che conosco bene, è persona di pace e andava semplicemente a far valere dei diritti che in quel paese ancora mancano. I tanto decantati marò invece sono due assassini che devono ancora essere giudicati per un reato grave di cui l'Italia, colpevolmente, non vuole farsi carico. È vergognoso che due virtuali delinquenti ci vengano affiancati in maniera così ossessiva". Delinquenti, li chiama oggi, dal caldo divano di casa. Invece li implorava, nel 2005, smagrita e con le guance rigate dalle lacrime, di salvarla. E in molti si adoperarono per farlo, con successo. Lasciando però sul campo una vittima, che lei innalzò a eroe, condannando tutti gli altri a mercenari che non hanno nulla a che fare con le missioni di pace, quelle delle quali si fregiano lei e Vladimir Luxuria, una scrivendo qualche reportage e l'altra sventolando una bandiera arcobaleno dove vige il divieto di propaganda delle relazioni omosessuali.   Per fortuna  Giuliana Sgrena non siede in Parlamento.  Quindi, per fortuna, ieri l'ex giornalista del Manifesto ha parlato da un pulpito meno autorevole di quello da cui si sono espressi sullo stesso caso i nuovi ministri e il neo premier.  Conclusa la cerimonia al Quirinale, il primo a telefonare ai  marò, è stato il presidente del Consiglio, Matteo Renzi: "Faremo semplicemente di tutto", ha detto ai militari italiani. Su Twitter ha rincarato la dose: il caso indiano è "una priorità", perciò "farò tutto quanto è in mio potere per arrivare il più rapidamente possibile ad una soluzione positiva". La telefonata di Renzi non è stata l'unica verso l'India. Nel loro primo giorno da ministri degli Esteri e della Difesa, anche Federica Mogherini e Roberta Pinotti hanno chiamato i due militari, a testimoniare la massima "determinazione" del nuovo esecutivo a fare tutto il possibile per riconsegnarli al più presto alle loro famiglie.  Pinotti li ha ringraziati per la "dignità" dimostrata: "Siete il mio primo pensiero e il primo del nuovo governo", ha assicurato. Mentre la titolare della Farnesina ha insistito ancora sulla necessità di coinvolgere pienamente la comunità internazionale, evocando il possibile ricorso a "tutti gli strumenti consentiti". di Roberta Catania

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