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Vladimir Putin il barbaro: un pazzo e "nuovo Hitler" oppure un genio? Il ritratto psicologico dello zar: chi è davvero

Alessandro Giuli
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Ha ragione Donald Trump: Vladimir Putin è un genio (del male, ovvio) pieno di fascino e orgoglio e amore per la propria gente. Non è dato sapere se l'ex presidente americano abbia ragione quando si vanta del fatto che, con lui alla Casa Bianca, il capo del Cremlino non si sarebbe mai azzardato a invadere l'Ucraina; e ciononostante la bestia nera (anzi fulva) dei liberal mondiali ha confezionato in poche parole un saggio di psicologia politica tanto elementare quanto inaccessibile alla turba della sinistra antiputiniana. L'inclinazione prevalente è in effetti quella di "patologizzare" la figura del nemico russo, bene che vada i suoi movimenti strategici sono qualificati come deliri d'onnipotenza imperialistici, nostalgie sovietizzanti, segnali d'una sopraggiunta follia da parte di un ex torturatore sanguinario del Kgb animato da fredda crudeltà. Prevale poi il meccanismo (pavloviano, per restare in zona) dell'analogia con il mussolinismo o meglio della cosiddetta reductio ad hitlerum. Il presidente americano, Joe Biden, l'ha sbrigativamente definito «abbastanza matto» da imbarcarsi in una guerra ma pure «abbastanza intelligente da non farlo».

 

 



LO PSICORITRATTO - Nel frattempo plotoni d'improvvisati opinionisti-psicologi studiano movenze e fattezze putiniane cercando d'indovinarne il livello di compromissione cerebrale, il grado di maniacale egolatria, l'influenza della sua statura non eccelsa sul senso di rivalsa che lo contraddistingue, la quantità di botox o altre più inquietanti sostanze delle quali è materiato il nemico numero uno dell'Occidente. Una sorta di body shaming per decreto da legge marziale, ma più raffinato, che rinvia alla vignettistica di propaganda diffusa dappertutto in tempo di guerra. C'è naturalmente del vero, in questo campionario ossessivo distillato a beneficio del nostro sottofondo irrazionale bisognoso di replicare lo schema dell'orco cattivo che incombe su di noi da un mondo selvatico mai abbastanza lontano dalla civiltà in pericolo, in omaggio a un modello codificato peraltro dal russo Vladimir Propp nella sua Morfologia della fiaba. Illuminanti, a tale riguardo, sono le immagini esibite in un post dell'ambasciata statunitense a Kiev, in cui una serie di quattro chiese ucraine erette dall'anno 996 di questa èra fino al 1108 viene confrontata con altrettante istantanee raffiguranti Mosca sempre allo stesso modo: un bosco incolto. Come a dire: quando gli ucraini già decoravano sontuosamente absidi e cupole, voi russi ancora abitavate sugli alberi. Quel che invece si stenta a cogliere in Putin è il carattere profondo e l'impersonalità che lo rendono il veicolo di un'anima collettiva. Qualcosa che ha a che vedere senz' altro con l'antico spirito dell'orda barbarica (altro incubo prototipico dell'Occidente) ma al tempo stesso trova riscontri sia nel mondo delle arti marziali sia nel modulo bellico della Grande Russia pre e post zarista. In breve: tutti sanno superficialmente che Putin è un maestro di judo e ci tiene a mostrarlo; ma pochi riconoscono nel suo agire il principio orientale in base al quale è necessario sbilanciare l'avversario facendolo prima avanzare, e quindi avvalersi della sua stessa forza per atterrarlo e vincerlo. E' una filosofia del contrattacco che si fonda su una disciplina della mente e del corpo, su di un controllo morbido del movimento e delle articolazioni che ha raggiunto la forma apicale nel "Systema", la micidiale arte difensiva praticata dall'élite dell'Armata rossa (Spetsnaz) non senza un enigmatico rapporto con alcune tecniche di respirazione tipiche dell'esicasmo, lo yoga cristiano-ortodosso, e poi diffusasi globalmente dopo la caduta dell'Unione sovietica.

 

 

 

 


L'ORSO AVANZA - Se guardiamo a come la Russia ha (quasi) sempre vinto le guerre nelle quali il suo territorio è stato invaso, ritroviamo il medesimo paradigma. Dagli Svedesi nel Settecento ai Tedeschi nel Novecento passando naturalmente per Napoleone nell'Ottocento, per citare gli ultimi esempi, l'orso russo agisce così: lascia avanzare gli invasori, dando loro la percezione di un grande spazio di conquista a disposizione; ma poi, ecco che all'improvviso li sbilancia in avanti per poi avvolgerli e soffocarli in una tenaglia letale. In fondo non si tratta d'altro se non della proiezione su larga scala d'un modo di esistere da plantigrado, lento nel procedere e fulmineo nell'agguato. Anche adesso che si ripropone di tornare protagonista nelle foreste e nelle città dei suoi ex Stati satelliti finiti nell'orbita Nato. Non è scontato che Putin sia consapevole in ogni sua fibra di tale meccanica, ma di certo porta su di sé il peso di una coscienza imperiale millenaria (il mito della Terza Roma, l'aquila bicipite, lo scudo di San Giorgio) e la interpreta con un'energia "geniale" - e il genio è appunto lo spirito custode di persone, genti, luoghi e lignaggi- che esige di essere affrontata con pari consapevolezza. L'ha capito perfino Trump.

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