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Angela Merkel, il prof Bolaffi: "Quanti errori con i russi". Il giorno in cui si è piegata a Putin, le origini della guerra

Gianluca Veneziani
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Quanto l'Europa di oggi, incapace di avere un ruolo al tavolo delle trattative con Putin e pressoché interamente dipendente dal gas russo, è figlia della Merkel? Lo chiediamo ad Angelo Bolaffi, illustre germanista e autore di pregiati saggi sul modello tedesco e la crisi europea.

Prof. Bolaffi, questa crisi dimostra che la Merkel ha lasciato un'Europa debole, nano politico più di prima?
«Non direi più debole, perché almeno ora l'Europa è unita contro Putin. Se pensiamo alle divisioni manifestate in altre crisi, dai migranti all'indebitamento di alcuni Paesi, l'Europa si era mostrata più fragile altre volte. Resta però il fatto che l'Ue non ha una politica estera e una difesa comuni. La Merkel aveva intravisto il problema, dicendo che gli europei debbono prendere coscienza del loro destino e non possono fare affidamento su altri. Ma non l'ha risolto. E ormai lei fa parte di un'epoca geopolitica finita, quella fondata sulla convinzione che l'Europa fosse destinata a vivere in pace».

 

 

Guardando indietro, quali sono i principali errori compiuti dalla Merkel nel rapporto con Putin?
«Per cominciare, la Merkel era convinta che, coltivando un legame basato sul commercio, si potesse tenere buono Putin e lasciare aperto un canale di comunicazione con lui. E lì ha sbagliato di grosso. L'idea che dove passano le merci non ci sono guerre è un'illusione. In secondo luogo, la Merkel era stata lungimirante nel definire Putin un bugiardo inaffidabile, ma non è stata in grado di passare ai fatti dopo l'invasione della Crimea nel 2014. Se l'Occidente e l'Europa merkeliana avessero reagito diversamente, forse Putin avrebbe capito che c'era una linea rossa da non superare. In quel caso invece c'è stata una reazione troppo blanda. Ci volevano sanzioni molto più pesanti, come quelle di adesso. Ma del senno di poi sono piene le fosse».

Quali aspetti hanno pesato allora in quella reazione morbida?
«Tre fattori. Il primo è l'aver assecondato la scelta di Obama di disinteressarsi dell'Europa e di volgere lo sguardo al Pacifico. Obama ha lasciato fare a Putin in Crimea, convinto che la Russia fosse ormai una potenza regionale. Dimenticava che è una potenza con le bombe atomiche. Inoltre c'è stata una sottovalutazione delle vere intenzioni di Putin. L'Occidente ha imposto un po' di sanzioni ma ha pensato ingenuamente: che vuoi che faccia Putin, dopo tutto la Crimea è russa... Il terzo aspetto è il senso di colpa tedesco. Per la Germania era un incubo ritrovarsi in guerra contro la Russia, a cui nella seconda guerra mondiale aveva provocato 20 milioni di morti. Più in generale la guerra non faceva più parte del lessico politico europeo: l'Europa è cresciuta con l'idea "mai più conflitti", e quindi la guerra era esclusa già a livello di principio».

Che colpe ha invece la Merkel nell'aver messo l'Europa alla mercé del gas russo?
«Dopo l'invasione della Crimea bisognava iniziare a porsi la domanda: come facciamo a meno del gas russo? Nel 2014 non era ancora progettato il Nord Stream 2, quindi la Germania ne poteva fare ancora a meno. La Merkel ha perciò grosse responsabilità nell'aver accresciuto la dipendenza dell'Europa dal gas russo. Lei ha pensato agli interessi del suo Paese. L'idea di non avere più il gas fornito da Putin significava, ai suoi occhi, limitare le possibilità dell'industria tedesca e comprimere il benessere della popolazione tedesca. Ma ci sono responsabilità diffuse in tutta Europa: mentre ci mettevamo alle dipendenze del gas russo, in Italia protestavamo contro il Tap, il gasdotto che ci procura gas dall'Azerbaijan, perché portarlo in Puglia avrebbe comportato la rimozione di qualche ulivo...».

La presenza di Merkel almeno riusciva un po' a tenere a bada Putin?
«La Merkel è stata brava a gestire le crisi interne all'Europa, meno quelle internazionali. Putin ha invaso la Crimea quando al potere in Europa c'era la Merkel, insomma gliel'ha fatta sotto il naso, come del resto a tutti gli altri leader occidentali».

Però, non a caso, Putin ha invaso l'Ucraina, quando l'Europa non aveva più alla guida la Cancelliera.
«Be', sicuramente l'uscita di scena della Merkel ha pesato su di lui in senso psicologico. Putin aveva un rapporto preferenziale con la Merkel. Loro due si sono parlati 27 volte, non c'è precedente nella diplomazia internazionale. Il venir meno della Merkel per Putin ha significato: l'Europa mi volge le spalle, non ho più nessuna figura di statura con cui parlare. Anzi, al potere in Germania sono arrivati i Verdi che non vogliono il gas ma la transizione ecologica. Putin ha avuto la sensazione che anche l'ultimo canale con l'Europa, quello del commercio, stesse per saltare».

Lei aveva definito Scholz un "Angelo Merkel", la continuazione in un altro partito della Cancelliera. Oggi non è più così?
«Scholz si era presentato come il prosecutore del merkelismo. Ma si è trovato di fronte all'inatteso, la guerra: E ha fatto una svolta che lo ha portato fuori dal modello merkeliano. Si pensi alla volontà di dare una risposta dura a Putin sul piano militare e di puntare sul riarmo della Germania. La storia fa gli uomini molto più di quanto gli uomini facciano la storia. Scholz si è trovato da un giorno all'altro leader per caso, come è successo a Zelensky».

Scholz tiene aperto il canale del dialogo con Putin, laddove Biden preferisce il muro contro muro. Chi ha ragione?
«Giocano al poliziotto buono e al poliziotto cattivo. La logica è: armiamo gli ucraini. Ma allo stesso tempo, per fare la pace, trattiamo col nemico».

La von der Leyen è stata esclusa da molti tavoli importanti tra i leader. Alla debolezza del ruolo somma una debolezza politica personale?
«Va riconosciuto che lei è stata la prima a parlare di Commissione geopolitica, capendo che in Europa non bastava più parlare di economia. Ciò detto, a livello militare l'Ue non può avere un ruolo perché non ha un ministro della Difesa, ma potrebbe fare di più a livello politico. Bisognerebbe perciò che la von der Leyen faccia un viaggio a Kiev, insieme al presidente del Consiglio europeo, e prometta l'entrata dell'Ucraina nell'Ue».

È pensabile un ruolo della Merkel come mediatrice nelle trattative tra Russia e Ucraina?
«È un gioco che facciamo solo in Italia, nessun giornale tedesco ne parla. Viceversa Schroeder è molto legato a Putin e parla con gli oligarchi, quelli che portano consenso allo Zar. Le sue azioni hanno un peso: se sono rose, fioriranno».

Zelensky, intervenendo al Bundestag, ha accusato la Germania di aver costruito un muro che separa l'Ucraina dall'Europa e di pensare solo all'economia. Ha ragione?
«Zelensky ha toccato il tasto giusto per far sentire in colpa i tedeschi. Ha ragione perché è stato un errore enorme consentire la costruzione del Nord Stream 2. E la standing ovation che il Parlamento tedesco gli ha riservato dimostra la consapevolezza degli errori fatti: quanto più c'è cattiva coscienza, tanto più si applaude. Il suo discorso contribuirà a indurre la Germania a ripensare il ruolo dell'Europa nel mondo che verrà. Un mondo che prevede l'uso della forza e della guerra».

 

 

Da questa crisi verrà fuori una Germania ridimensionata?
«No, verrà fuori la terza Germania del secondo Dopoguerra. C'è stata la prima Germania, quella di Adenauer, renana-atlantista. Poi la seconda, della Repubblica di Berlino, riunificata alla fine della guerra fredda. La terza Germania dovrà prendere coscienza di un'Europa che arriva ai confini con la Russia e affrontare di nuovo il tema della guerra e dell'equilibrio geopolitico. Ma non illudiamoci: la Germania non cambia da un giorno all'altro, è come un transatlantico, possente ma lenta negli spostamenti: prima di invertire la rotta ci mette molto, non è una barchetta». 

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