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Xi Jinping, la frase di cui nessuno parla: cosa c'è dietro davvero alla telefonata a Putin

Maurizio Stefanini
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Cosa ha detto Xi Jinping nella telefonata che ha fatto ieri a Vladimir Putin? Secondo quello che ha reso noto il Cremlino, avrebbero «concordato di espandere la cooperazione nei campi di energia, finanziario, industriale, trasporti e altri, tenendo in considerazione la situazione dell'economia globale che è diventata più complicata a causa della politica di sanzioni illegittime dell'Occidente». Però la tv cinese Cctv ha tenuto invece a far conoscere al mondo un'altra parte della conversazione. «Tutte le parti dovrebbero spingere per una soluzione adeguata della crisi ucraina in modo responsabile». Insomma, Pechino coglie l'occasione per fare affari con Mosca, ma avverte nel contempo che se la guerra finisce è meglio. Il motivo? In questo momento gli investitori stranieri stanno scappando dalla Cina a rotta di collo, anche per la situazione che si è determinata per effetto della guerra.

Tra gennaio e marzo, infatti, investitori stranieri hanno ritirato dalla Cina attivi finanziari per 150 miliardi di dollari. Ma in realtà a gennaio c'era stata una ripresa, e il crollo è venuto proprio dopo l'attacco di Putin all'Ucraina. L'Institute of International Finance (Iif) du Washington ha studiato questa evoluzione in un rapporto da cui emergono non solo i dati già esposti, ma la constatazione che la fuga è continuata ad aprile, e la stima secondo cui entro fine anno si arriverà ai 300 miliardi. Oltre il doppio rispetto alla fuga di 129 miliardi che c'era comunque stata nel 2021, ma che a gennaio aveva appunto iniziato a rientrare.

 

 

 

IL FATTORE COVID L'anno scorso, il motivo per cui gli investitori avevano iniziato ad andarsene era soprattutto la stasi della economia mondiale provocata dal Covid. Con i nuovi spietati lockdown a Shanghai e Pechino quell'allarme è tornato, e la politica del Covid Zero su cui insiste il presidente Xi ha provocato non solo proteste popolari, ma anche un principio di rottura con il primo ministro Li Keqiang. Con bloccata una città che come Shanghai rappresenta il 5% del Pil cinese, la disoccupazione nelle città è arrivata al 6%, l'economia si è contratta ad aprile di uno 0,68%, e l'obiettivo di crescita del 5,5% l'anno pur se modesti rispetto alle performances cui la Cina aveva abituato appare ormai chiaramente irraggiungibile.

Ma non c'è solo la strategia del Covid Zero che azzoppa l'economia. Un secondo problema è infatti lo scoppio della bolla immobiliare, a partire dal disastro di Evergrande. Mutatis mutandis, per la Cina è l'equivalente di quella crisi dei subprime che innescò la crisi in Occidente, dal momento che come la crescita Usa era stata pompata dai crediti tossici, così anche la crescita cinese degli ultimi 10 anni era stata pompata dal credito facile a settore della costruzione. Il punto è che per rivitalizzare l'industria immobiliaria la Banca Centrale sta tagliando gli interessi delle ipoteche a colpi di decreto. Cioè, sta insistendo sullo stesso tipo di politica che ha portato al botto, e proprio mentre Bce e Federal Reserve cercano invece di dare precedenza alla lotta all'inflazione. Insomma, secondo molti analisti le autorità monetarie cinesi starebbero scherzando col fuoco. Un terzo problema è un regime autoritario che senza troppi problemi ha svuotato con la forza le garanzia pluraliste che a Hong Kong erano state lasciate sulla base del principio "un Paese, due sistemi", e che sta minacciando Taiwan in molto non molto dissimile dal modo in cui Putin ha fatto pressione sull'Ucraina prima di attaccare. Ma con la storia delle rivendicazioni marittime sono ben cinque i vicini con cui Pechini ha in questo momento problemi di confine. La quantità di analisti che avevano previsto la guerra tra Russia e Ucraina proprio in base a un calcolo di razionalità evidentemente non corrispondente agli schemi mentali del presidente russo ha bruscamente ricordato come le dittature o semidittature magari non sono illogiche in senso stretto, ma hanno comunque una logica diversa da quella degli operatori economici. Per cui è meglio non affidarvi troppo i propri soldi. Ovviamente, ci sono poi i legami tra Pechino e Mosca, che espongono gli investitori in Cina a poter essere colpiti a loro volta dalle sanzioni.
 

 

STOP ALLA GLOBALIZZAZIONE Più semplicemente, la guerra sta portando poi a una rottura della globalizzazione in cui l'Occidente inizia a concentrare le sue supply chain in una certa area senza la Russia, e la Cina è percepita sempre più come parte dell'altra area. E non bisogna dimenticare i meri problemi di immagine per cui, ad esempio, il Norges Bank Investment Management, maggior fondo sovrano del mondo, ha deciso a marzo di disinvestire dalle azioni della impresa cinese di abbigliamento e accessori sportivi Li Ning, per "il rischio inaccettabile di contribuire a gravi violazioni de diritti umani". Last but not least, proprio in nome di questa razionalità autoritaria il regime cinese ha iniziato a prendere di petto non solo le autonomie d Hong Kong o Taiwan, ma anche lo stesso settore privato cinese, come si vede in primo luogo dai guai che sono capitati al tycoon Jack Ma, colpito con una multa da 2,8 miliardi. Ma contro tutte le Tcnologiche nel 2021 si è scatenata una offensiva. Dunque, ci si fida sempre meno ad esporsi alle decisioni di un sistema politico e giuridico del genere

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