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Gas, stop a Nord Stream 1: la spallata con cui Mosca prova a far crollare l'Europa

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Daniel Mosseri
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Si fa pesante la partita degli idrocarburi sull'asse Berlino -Mosca: da oggi fino al 21 luglio il gigante russo del metano, Gazprom, non immetterà più gas nel Nord Stream 1 il gasdotto diretto che collega Vyborg, nella Russia europea, alla tedesca Greisfwald, in Pomerania Anteriore. L'interruzione temporanea è stata attribuita a «lavori di manutenzione» ma se in passato questo annunci lasciavamo il tempo che trovavano, oggi la Germania teme che si tratti di una prova generale di un possibile stop totale alle vendite di gas russo. Uno stop che trova la Repubblica federale ancora impreparata: gli sforzi recenti del governo tedesco per individuare fonti alternative di gas sono tutti proiettati sul medio periodo ma l'estate tedesca è breve, e presto milioni fra abitazioni, scuole, ospedali, uffici si contenderanno il metano (da riscaldamento) con le industrie che non possono fare a meno del gas nei processi produttivi, come la chimica, metallurgia, la produzione di vetro odi alimenti. A dare una mano ai tedeschi è arrivato però un annuncio del ministro canadese delle Risorse naturali Jonathan Wilkinson secondo cui Ottawa allenterà le sanzioni antirusse «in modo temporaneo», permettendo così la restituzione a Siemens delle turbine che l'azienda tedesca aveva inviato mesi fa in Canada per riparazioni. Quelle turbine permettono il pieno funzionamento del Nord Stream 1: adducendo la loro mancata restituzione, da giugno Gazprom pompa il 40% di gas in meno nella pipeline, con il risultato che in Germania il metano c'è ma le scorte sono ai minimi, mentre dovrebbero aumentare in vista dell'inverno.

 

 

 

IL CASO MELNYK

In un complicato gioco energetico-diplomatico, la decisione canadese corrisponde con il richiamo in patria dell'ambasciatore ucraino a Berlino, Andrij Melnyk, un uomo detestato dai tedeschi per aver più volte mancato di rispetto al presidente federale Frank-Walter Steinmeier, per aver strapazzato il cancelliere Olaf Scholz e, più di recente, per aver difeso in un'intervista Stepan Bandera. Nato nel 1909 nell'ucraina Staryj Uhryniv, Bandera è stato il leader dell'Organizzazione dei nazionalisti ucraini (Oun) e il fondatore dell'Esercito insurrezionale ucraino (Upa). Per lunghi anni collaboratore dei nazisti, Bandera è accusato di aver massacrato migliaia di civili ebrei e polacchi. Accuse che Melnyk ha respinto, definendo anzi Bandera un «combattente per la libertà». Se a questo si aggiunge che il governo ucraino ha cercato di dissuadere il Canada dal restituire le turbine alla Siemens, si capisce la stizza dei tedeschi, che si sono vendicati ottenendo la testa del diplomatico, formalmente richiamato a Kiev «per un normale avvicendamento». Il governo del cancelliere tedesco Olaf Scholz bacchetta dunque quello del presidente tedesco Volodymyr Zelensky: la Germania è in ansia per il gas e non ha voglia di farsi dettare la linea da un paese che sostiene finanziariamente (con entusiasmo) e militarmente (con minor slancio). Dalla Bassa Sassonia è intanto arrivata luce verde a tempo di record all'inizio dei lavori per la costruzione di un rigassificatore di gnl a Wilhelmshaven: l'impianto non sarà però operativo prima del 2025. E dalla Baviera è giunto il grido di allarme di Ludwig Huber, presidente dell'associazione dei produttori latto-caseari Milch.Bayern. «Se i caseifici vengono staccati dal gas, l'industria rischia un massiccio arresto della produzione». Con il conseguente crollo dell'offerta di latte e formaggio e un inevitabile aumento dei prezzi. 

 

 

 

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