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Su Yutong, la dissidente cinese perseguitata a Berlino: annunci hard e minacce di morte

Roberto Tortora
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Minacce su Telegram, fotomontaggi su Twitter, truffe informatiche, finti annunci porno e tanto, tanto altro. È la dura vita di Su Yutong, giornalista cinese e dissidente governativa del suo Paese, costretta da 13 anni a rifugiarsi a Berlino, in Germania. Un Paese accogliente, sì, ma anche in stretta connessione di interessi con la Cina e nel quale è diventato molto difficile vivere serenamente. Intervistata dal corrispondente di Repubblica, Yutong ha tratto un disegno della sua vita allucinante. Da quando ha scritto un libro proibito, in Cina è diventata una nemica della Repubblica, anche se di pubblico e di democratico nel mandato autoritario di Xi Jinping c’è ben poco. 

Anche se a migliaia di chilometri di distanza, la Cina ha allungato i tentacoli partendo dall’interno, cioè tempestando i genitori e i parenti della giornalista di visite di controllo della polizia, che ribadisce ogni volta che la loro cara è una “anti-cinese”. Il primo episodio in Germania, invece, è questo: dopo diverse citofonate sospette al suo appartamento, Su ha capito che la sua foto era apparsa su un sito tedesco di annunci porno, con l’indirizzo di casa e la promessa di un rapporto orale per 100 euro. È solo un assaggio, perché Yutong è dovuta andare anche alla polizia tedesca per denunciare una truffa ai suoi danni: ha infatti scoperto che qualcuno ha prenotato a suo nome stanze d’albergo in alberghi di lusso di mezzo mondo: Macao, Hong Kong, New York, persino al St Regis di Roma. E come cellulare di riferimento, hanno lasciato quello di un altro dissidente cinese, che vive negli Usa, un certo Bob Fu.

 

“Negli Usa vengono arrestate le persone che minacciano gli oppositori cinesi, in Europa no. Perché non accade? Solo negli ultimi tempi – afferma sconfortata la Yutong - la polizia tedesca ha preso il mio caso sul serio. Ha cominciato a capire che dietro a questi episodi ci potrebbe essere il governo o l’ambasciata cinese”. Passiamo al suo profilo Telegram ed ecco una bella minaccia di morte: “Ti ammazzo”, scrive un uomo che le manda un video di una decapitazione. E basta fare un giro rapido su Twitter per avere idea della violenza psicologica che deve subire la donna: "Putt***, str***, cagna" sono solo i commenti più lievi nei suoi confronti. Questo, perché da sempre si batte per i diritti delle minoranze e per stabilire la verità sulla violenza di Piazza Tienanmen. All’ennesimo episodio di molestia, Su ha deciso di contrattaccare: un anonimo le ha mandato una foto e l’ha minacciata di stupro. Yutong lo ha provocato, definendolo un poveraccio e che non avrebbe avuto soldi per trovarla in Germania. Lui ha abboccato e ha mandato lo screenshot di un bonifico con il suo nome, Aierken Yilisen e quello di Ran Zhang, commerciante della catena di supermercati asiatici “Go Asian”. Subito la giornalista ha reso pubblici i loro nomi e, dietro di loro, è spuntata una mandante, una certa Deng Jie. Arrestata dalla polizia finlandese, perché anche lei minacciatrice di dissidenti.

Se con il suo Paese le cose non vanno, in Germania la vita non è più semplice. Nel 2014 finì sul New York Times, perché cacciata dall’emittente radio-televisiva in cui lavorava, la Deutsche Welle. Nel giorno della commemorazione del massacro di Tienanmen, infatti, aveva pubblicato le discussioni in redazione sul commento di un lettore che invitava a considerare l’episodio come “una tantum” nella storia cinese. Il nuovo direttore, che le aveva comunicato di aver incontrato l’ambasciatore cinese e che bisogna essere più morbidi sulla Cina, non gradì la sua ferma posizione. “In Germania ci sono troppi interessi economici con Pechino. Dopo l’episodio della Deutsche Welle – conclude amaramente, ma con forza, Su Yutong - qualcuno mi ha persino offerto dei soldi per stare zitta. Ma io non lo farò mai”.

 

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