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Golpe in Africa, la verità: il peso di Russia e Gruppo Wagner

Marco Petrelli
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La Wagner non è dietro ogni colpo di mano che si verifica in Africa. Non è la Spectre né l’Hydra di Teschio Rosso, semmai una comune PMC (Private Military Company) come tante ne esistono… Black Water vi dice nulla? O Legione straniera, nata due secoli fa per curare gli interessi della Francia nelle sue colonie. Per origini e storia le Legione è diversa alle odierne PMC, ma gli obiettivi erano e sono piuttosto simili: difendere la grandeur oltreoceano, a scapito degli equilibri interni delle nazioni africane ed in barba alle conseguenze che si riflettono su altri paesi.

La sequenza di colpi di stato che, da tre anni a questa parte, ha interessato l’intera fascia dell’Africa centrale dal Sudan al Gabon è solo in parte responsabilità della Wagner. Paesi poveri, dapprima sfruttati dalle potenze coloniali britannica e francese, poi da governi instabili, corrotti, autoritari talvolta espressione di poteri esteri. Chi, fra i più grandi d’età, ricorda la secessione del Katanga rammenterà anche il ricorso a truppe mercenarie sostenute dal Belgio in un conflitto che arrivò ad avere tre fazioni belligeranti: separatisti katanghesi guidati da Moise Ciombe; i marxisti di Patrice Lumumba ed il governo di Leopoldville sostenuto dalla Missione ONUC delle Nazioni Unite. Per le grandi potenze coloniali la decolonizzazione del Continente Nero fu un vero dramma: Belgio, Francia, Portogallo assistettero alla progressiva perdita di domini ricchi di materie prime, in particolare di miniere.

 

 

 

Giacimenti che facevano gola anche ai leader locali e ai sovietici che, sin dalla campagna portoghese in Angola e Mozambico, equipaggiarono ed armarono milizie quali il MPLA (Movimento Popular de Libertação de Angola) ed il FRELIMO (Frente de Libertação de Moçambique). L’apertura dell’Unione Sovietica a Medio Oriente ed Africa iniziò a metà anni ‘50 con Nikita Krushev: accordi commerciali e diplomatici furono da allora stipulati con Siria, Egitto, Marocco e ancora con giovani nazioni che sorgevano sulle ceneri del colonialismo europeo.

La Russia sovietica aveva due assi nella manica: il non aver mai posseduto domini sul Continente Nero e l’ideologia. Progresso, sviluppo sociale ed economico, indipendenza e no al razzismo (che pure in Russia era ed è diffuso, specie a danno delle minoranze siberiane e centro-asiatiche): l’alleanza con il Cremlino era l’aspirazione dei nuovi governanti costretti a muoversi in equilibrio fra la necessità di difendere l’indipendenza conquistata e le esigenze di rilanciare le economie nazionali.

L’Urss seppe giocarsela bene. Anche perché, in politica, nulla è gratis: in cambio di tecnologia, armi, sviluppo dei commerci e formazione (in loco e in Russia) tramite scambi culturali e borse di studio, gli alleati arabi ed africani garantivano a Mosca la possibilità di essere boots on the ground in scenari di grande interesse strategico per l’Occidente. Qualora qualcuno si chieda, ancora, perché vi siano basi russe in Siria ecco, il motivo è da ricercarsi nel passato prossimo delle relazioni fra Damasco e il Cremlino. Gli accordi commerciali stipulati da Krushev e dai suoi successori non hanno però “russificato” l’Africa, nella quale alcune nazioni europee hanno continuato a giocare un ruolo decisivo.

La Francia ad esempio, che alle ex nazioni della Françafrique (Benin, Burkina Faso, Costa d'Avorio, Mali, Niger, Senegal, Togo, Camerun, Ciad, Gabon, Repubblica Centrafricana, Repubblica del Congo) imponeva il commercio unicamente con Parigi. Una situazione simile a quella vissuta dai coloni americani prima del Boston Tea Party, ma due secoli più tardi. Influenza che continua finora: non ultimo il Gabon, dove la “famiglia presidenziale” filo francese Bongo-Ondimba ha governato ininterrottamente dagli Anni Sessanta… ad una settimana fa!

Poi, la destabilizzazione dell’Africa settentrionale in seguito agli interventi in Tunisia ed in Libia del 2011; il sostegno alle fazioni anti russe ed anti baath in Siria e il fallimento delle operazioni parigine in Mali hanno, forse, contribuito ad accrescere una maggiore simpatia delle popolazioni e di ambienti politici e militari africani verso la Russia. In fondo, dal 1991, Mosca non ha mai inviato i caccia in Africa, cosa che non si può dire per gli USA di Obama e per la Francia di Sarkozy.

La Wagner, vero babau della foreign policy, ha certamente responsabilità in quanto accaduto in Sudan, in Niger e probabilmente anche in Gabon. Ma non è l’unico elemento di destabilizzazione dell’Africa: scelte di politica internazionale presenti e passate hanno compromesso l’immagine e la credibilità di Europa e Stati Uniti. D’altronde, come non restare confusi osservando un Occidente che, dopo un quindicennio di guerra, fa sparire il terrorismo islamico dal dizionario per concentrarsi su Putin? E cosa pensare osservando il “mondo libero” schierato contro Mosca e dimentico dell’Afghanistan, dove un il ritorno dei talebani schiaccia i diritti fondamentali ed affama il popolo? Forse, vista da una prospettiva estranea al confronto NATO-Russia, la situazione internazionale appare diversa: almeno agli africani, la Russia (e la Wagner) fa meno paura di Europa ed USA.

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