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Volodymyr Zelensky, sette mesi per vincere o cadere

Giovanni Longoni
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Volodymyr Zelensky, da Ottawa dove è in visita di Stato, ha ribadito di voler tenere le elezioni presidenziali ucraine come da programma, cioè al termine del suo mandato: aprile 2024. Già il mese scorso si era detto pronto ma aveva piantato numerosi paletti. Ovviamente, perché far votare un Paese in stato di guerra pone enormi problemi legali e pratici. Resterebbero troppe regioni escluse, quelle occupate o in cui si combatte e ci sarebbero milioni di profughi e decine di migliaia di cittadini deportati dal nemico in Russia. Zelensky si era detto disposto a convocare le consultazioni dietro un consistente aiuto internazionale (cioè pagano gli alleati), del consenso del Parlamento e a patto che tutti gli ucraini potessero partecipare. Condizioni tanto logiche quanto irrealizzabili.

Tornando sulla questione ieri in Canada, il leader ucraino ha citato stavolta un solo ostacolo: la gente, secondo lui, vuole spendere solo per la guerra. E la guerra è il vero impedimento al voto. Ora, è chiaro che il ritornello è quello degli aiuti stranieri ma l’insistenza con cui l’ex attore sta tornando sulla questione del voto sembra collegata al particolare momento attraversato dal conflitto. Non è corretto parlare di stallo, ma l’avanzata delle forze gialloblù è lenta anche a detta di Kiev.

 

QUESTIONI DI IMMAGINE
E poi: l’Ucraina è una democrazia. Stiamo con Zelensky e non con Putin perché quest’ultimo viene confermato in consultazioni taroccate. Ma cosa accade se la guerra, come prevede la Nato, durerà ancora a lungo? Volodymyr presidente a vita? Non sarebbe una bella pubblicità né per l’Ucraina né per la democrazia.

Zelensky d’altra parte sa che il suo destino di politico, e non solo quello, è legato al successo della controffensiva. La gente continua a sostenerlo in modo massiccio, stando ai sondaggi, ma cosa accadrebbe se si andasse alle urne a guerra finita e senza Crimea e Donbass? Tanti sacrifici per nulla spingerebbero gli elettori a cacciare l’attuale capo dello Stato. La rielezione fra l’altro potrebbe non essere scontata neppure in condizioni migliori per Volodymyr, soprattutto se contro di lui si candidasse un beniamino della popolazione come il generale Valerii Zaluzhnyi (che finora nega ambizioni politiche), oppure come il sindaco della capitale, l’ex pugile Vitali Klytchko. Quanto al contesto internazionale, le cose stanno mutando. Non in una direzione univoca. Che i favorevoli a trattative con Putin stiano crescendo per numero e importanza è un dato di fatto.

 

DIMENTICARE KABUL
Le elezioni negli Stati Uniti e in Europa stanno scombusssolando il fronte alleato. L’elettorato americano, sebbene aborrisca i russi ancor più del loro “Zar”, non vuole più drenare risorse economiche che potrebbero essere impegnate internamente, dalla sicurezza al contrasto all’immigrazione. E al riarmo. Guarita la ferita di Kabul grazie al popolo ucraino che ha lottato all’ultimo sangue per democrazia e libertà, l’americano non chiede di più. E tuttavia le armi Usa continuano ad arrivare. Sempre più sofisticate e potenti. Cresce del pari la pressione del Pentagono perché l’eroico ed ottuso alleato riveda la sua strategia: il New York Times sosteneva ieri che i generali Usa sono tornati a chiedere che Kiev si concentri sul sud, dove i successi arrivano, e congeli l’operazione di macelleria a Bakhmut.

C’è una richiesta di razionalizzare lo sforzo bellico (a partire dall’Economist). E i sette mesi di tempo che Zelensky si è dato, insomma, potrebbero essere quelli decisivi per la vittoria o per l’armistizio. Sondaggi di popolarità permettendo tendo.

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