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Diller, il sopravvissuto al rave: "Sono bestie, come mi sono salvato"

Hoara Borselli
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«Questi sono animali, non sono persone con cui puoi parlare o negoziare. Dobbiamo mettere in campo tutta la forza possibile, non c’è altra possibilità». Con la voce spezzata dal terrore di quegli attimi vissuti durante il Nova Natura Party, costati la vita a più di duecentocinquanta ragazzi, Yonathan Diller, papà statunitense, mamma italiana, ci racconta in un buonissimo italiano mescolato a qualche parola inglese come è riuscito a sopravvivere alla strage di Hamas. Lui era lì.

Prima di cominciare, Yonathan, mi dici come stai?
«Stanco, molto stanco».

Dove ti trovi adesso?
«Nella mia casa a Ra’anana con la mia famiglia. Arrivato sabato sera dopo quella terribile giornata infinita...»

Cosa ricordi?
«Insieme ad una quindicina di amici siamo arrivati alla festa intorno alle sei del mattino. Ero con Nadav, un mio amico, e siamo andati sul palco principale a ballare. Ricordo che verso le sei e trenta abbiamo visto che albeggiava. Un’immagine bellissima. Durata poco. In cielo sono iniziati a sfrecciare i missili e si è messa in azione la nostra contraerea, “Iron Dome”».

 

 

 

A quel punto cosa avete fatto?
«La polizia ci ha detto di prendere immediatamente le nostre cose, salire velocemente in macchina e allontanarci il più in fretta possibile. Noi a questo siamo abituati, non è la prima volta che arrivano allarmi di attacchi aerei».

In che senso: siete abituati ai missili?
«È già capitato che ci arrivassero missili addosso e noi in quel caso sappiamo cosa dobbiamo fare: trovare velocemente un posto dove nasconderci a terra, il più nascosto e più in basso possibile».

Però questa volta non è stata come le altre.
«No, nessuno poteva prevedere che sarebbero arrivati terroristi via terra. Era una cosa inimmaginabile. È stato l’inferno».

Cosa hai visto?
«Io e il mio amico appena la polizia ci ha detto di scappare siamo corsi alla macchina e ricordo che c’era un traffico spaventoso. Tremila persone che volevano uscire. Però quelli che sono usciti per primi erano spariti».

In che senso spariti?
«Spariti perché i terroristi li stavano aspettando lì. E questo io l’ho capito solo più tardi. Al momento l’unico pensiero era scappare più velocemente possibile. Mentre cercavo di allontanarmi con la macchina ho capito che era troppo pericoloso, non potevo stare fermo in coda».

Troppo pericoloso perché?
«Non solo perché mi sfrecciavano i missili sulla testa ma perché ho visto avvicinarsi una ragazza cui avevano appena sparato. Era completamente insanguinata e chiedeva aiuto. Ho cercato di bloccarle il sangue, le ho dato acqua, ma a quel punto ho capito che non potevamo restare lì perché i terroristi volevano ammazzarci tutti».

E quindi cosa avete fatto tu e il tuo amico?
«Ci siamo andati a nascondere vicino ad un fiume e sentivamo gli spari che da lontano si avvicinavano sempre di più e abbiamo visto che sparavano proprio addosso. Puntavano le persone e sparavano. Noi siamo stati nascosti giù in basso per evitare di essere colpiti. Piano piano ci siamo diretti verso Est. Abbiamo camminato per quattro ore senza acqua, senza cibo, con le batterie del telefono scariche. Tante persone sono rimaste indietro e non ce l’hanno fatta. Sono state colpite e sono state ammazzate o rapite».

Hai perso degli amici?
«Sì, alcuni sono morti ed altri ancora non sappiamo che fine abbiano fatto. Non sappiamo dove sono. Portavano via le ragazze. Quelle che non ammazzavano subito le portavano via. Poi abbiamo capito perché».

Perché?
«Un’amica mi ha detto di aver sentito due terroristi parlare fra loro in arabo e dirsi “ho ammazzato tutte quelle brutte, quelle belle te le ho tenute così ti ci puoi divertire...”. Questi sono degli animali, delle bestie, non sono uomini. E con le bestie non puoi avere un dialogo. Devi usare solo la forza. Loro vogliono la diplomazia quando gli fa comodo, quando si sentono deboli. Questi tagliano la testa ai bambini, come ci si può parlare? Sono come l’Isis».

Non hai paura a restare lì? Non stai pensando con la tua famiglia di andare via?
«No, non voglio andare via. Ora cerco di riposarmi un po’ anche per rendermi bene conto di quello che ho passato. Ma appena mi chiamano tonerò arruolato militare. Già lo sono stato per tre anni. Anche uno dei miei due fratelli è di leva nell’esercito».

Pensi che Netanyahu abbia delle responsabilità per questo feroce attacco?
«No. Sono fake news quelle che dicono che noi pensiamo che lui abbia sbagliato. Ci hanno attaccati di sorpresa. Credo che gli errori vadano ricercati nell’intelligence, non nel nostro leader».

 

 

 

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