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Israele, è l'ideologia Woke della sinistra ad alimentare l'odio contro Tel Aviv

Spartaco Pupo
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Che l’antisemitismo sia l’odio più antico del mondo è ormai risaputo. Ma chi avrebbe immaginato che a cavalcarlo politicamente, in pieno terzo millennio, sarebbe stata soprattutto la sinistra? Leggere per credere. Mentre l’antisemitismo di destra è oggi opera di qualche gruppuscolo di nostalgici estremisti, bulli di periferia travestiti da neonazisti e suprematisti bianchi, quello di sinistra si nutre di una retorica molto più sofisticata, potente e travolgente, benché rimanga poco conosciuto. I media di tutto il mondo, infatti, si sono concentrati sempre e solo sul primo. Lo stesso ha fatto la storiografia accademica che, specialmente in Italia, sembra non essersi mai accorta del secondo. Per questo rimaniamo come attoniti dinanzi all’odio anti-Israele urlato in questi giorni nelle manifestazioni di piazza organizzate da movimenti e partiti di sinistra. Si chiama Woke, è nato negli Usa trent’anni fa ed è il nuovo progressismo che dice di combattere ingiustizie e diseguaglianze attraverso l’“intersezionalità della lotta”. Da woke, che sta per “risveglio”, la sinistra occidentale si considera “non dormiente” davanti all’oppressione. Essa si è risvegliata e lotta. Il suo bersaglio oggi è Israele perché considerato parte integrante della struttura di potere dominante che castiga gli “oppressi”, identificati in questo caso nei palestinesi.

Incomprensibile ai più risulta il ricorso a eufemismi come sionismo e decolonizzazione, con cui gli interpreti del nuovo antisemitismo giustificano e legittimano lo spargimento di sangue da parte dei terroristi di Hamas. E pochi sono i coraggiosi che ci aiutano a capire. David Bernstein, saggista statunitense di origini ebraiche, è uno di questi. Da presidente del Jewish Council for Public Affairs, prestigiosa organizzazione ebreo-americana che si occupa di relazioni comunitarie, Bernstein studia da anni il fenomeno e ha pubblicato un volume per i tipi della Post Hill Press di New York dal titolo “Woke Antisemitism: How a Progressive Ideology Harms Jews” (“L’antisemitismo del risveglio: come un’ideologia progressista danneggia gli ebrei”).

 

 

La prefazione è di Natan Sharansky, scrittore russo naturalizzato israeliano, sopravvissuto alle torture nei gulag sovietici. Sharansky vede nel Woke qualcosa di molto simile al totalitarismo comunista. Il linguaggio e il copione sono gli stessi: doppia morale, servilismo intellettuale, demonizzazione dell’avversario, odio fatto passare per amore.

L’unica differenza è che l’ambientazione stavolta è l’Occidente, dove i “liberi” di un tempo non si sentono più a casa anche per via della complicità delle istituzioni culturali ed educative, sempre più dalla parte dei nuovi totalitari. Da ex detenuto nell’inferno comunista, Sharansky ricorda che il ruolo principale dell’ebreo preso oggidi mira è di difendere i principi liberali su cui si fonda la democrazia. L’antisemitismo rosso minaccia gli ebrei perché considerati parte integrante del capitalismo occidentale. «Se sostituisci – spiega Sharansky – la parola razza con classe, ottieni lo stesso dogma marxista-leninista con cui fummo indottrinati nelle scuole sovietiche e che era alla base dell’odio contro i dissidenti e chiunque osasse mettere in discussione la linea del partito». Insomma, dietro gli abiti finto-compassionevoli oscurati dal gergo intellettualistico si nasconde lo stesso, spietato inquisitore ideologico.

 

 

Osservandolo “con orrore”, Bernstein ne svela le assurdità e le forme con cui si colpisce e si purga chiunque non si adegui al dogma. Eppure siamo dinanzi a un paradigma molto contraddittorio. La presunta lotta al razzismo viene condotta ripristinando le vecchie categorie razzistiche, anche se in forma nuova: il colore bianco della pelle, che include gli ebrei, viene identificato con il potere e i privilegi degli oppressori colonizzatori. Ciò è di per sé prova inconfutabile di una colpa inespiabile. Il Woke indica quale sono le identità buone e quelle cattive, le categorie di privilegiati e dei non privilegiati, degli oppressori e degli oppressi.

Ebbene, il primo gruppo di cattivi, privilegiati e oppressori, spiega Bernstein, è proprio quello degli ebrei. Stigmatizzati per secoli come avidi di denaro e successo, anche quando erano a malapena in grado di sopravvivere perché deprivati dei diritti più elementari, gli ebrei sono divenuti il capro espiatorio creato ad arte da un’ideologia manichea che divide l’umanità sulla base di caratteri “ereditati”, come l’avidità e la malvagità. La loro colpa? L’avere accettato la logica del nemico che ha cercato di sterminarli, l’Occidente oppressore.

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