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Israele-Palestina, perché l'Onu ha fallito la sua missione di pace

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Corrado Ocone
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La retorica diffusa vuole che l’Organizzazione delle Nazioni Unite, istituita nel 1945, si sia resa necessaria per l’evidente fallimento della precedente esperienza della Società delle Nazioni. Questa Società, creata subito dopo il primo conflitto mondiale, si era infati dimostrata tanto inefficace e fallimentare da non riuscire ad evitare la tragica replica di quella prima immane catastrofe.

A ottanta anni dalla sua fondazione conviene però chiedersi se l’ONU abbia adempiuto ai suoi compiti, che oltre alla pace e alla risoluzione per via diplomatica dei conflitti, erano quelli di garantire i diritti e la libertà di tutti gli esseri umani, come recita la Dichiarazione Universale dei Diritti Umani che, approvata nel 1948, ne costituisce la Carta fondativa. La domanda è in verità alquanto retorica: l’ONU non solo non è stato in grado di prevenire o risolvere i mille conflitti che hanno funestato le nostre esistenze, ma non poche volte si è trovato dalla parte sbagliata, schierato cioè a difesa di chi un ordine mondiale basato sulla pace e la libertà lo detesta e lo combatte. Una débacle che ha assunto persino tratti paradossali, come quando a presiedere la Commissione per i Diritti Umani sono stati chiamati Stati che quei diritti al proprio interno non li salvaguardano minimamente. 
 


Che l’ONU maturasse strada facendo queste contraddizioni non può essere considerato però un mero errore di percorso: il difetto era già nel manico, e non solo per i motivi che vengono comunemente addotti. Si dice, infatti, che l’ONU non funziona perché non sarebbe del tutto democratico in quanto dà diritto di veto sulle sue risoluzioni a cinque Stati (fra cui sono Regno Unito e Francia che oggi hanno perso molta di quella leadership globale di cui godevano a fine guerra). In verità, proprio la presenza fra questi Stati delle più solide democrazie occidentali ha fatto da argine ad una realtà evidente ma su cui si è sempre soprasseduto con troppa facilità: il principio democratico, quello che dice “una testa un voto”, non si può applicare in un consesso i cui partecipanti solo in esigua minoranza seguano i valori liberali. Questa consapevolezza sicuramente era propria anche di molti fra coloro che in buona fede, soprattutto nei Paesi anglosassoni, contribuirono alla nascita dell’ONU. Così come era a loro evidente la contraddizione che faceva rientrare dalla finestra (col diritto di veto) quel realismo politico cacciato dalla porta in nome di un democraticismo umanitario che fu criticato già allora da non pochi (penso ad uomini di cultura come Benedetto Croce, che si oppose fermamente alle idee ispirative della nuova Organizzazione).

Se, nonostante questo, ci si decise ad avviarsi sulla strada poi imboccata, ciò fu dovuto essenzialmente al fatto che fra quelle élite, sconfitto il nazismo, aveva ripreso forza e vigore l’ideologia del progresso: si era convinti cioè che, nel contatto sempre più forte fra i popoli, la forza morale della democrazia liberale si sarebbe affermata naturalmente. Tragica illusione, che in qualche modo portava a mettere fra parentesi persino il fatto, altrettanto evidente, che per evitare il ripetersi di follie criminali come quelle perpetrate dal nazismo, si sarebbe ora dovuto venire a patti con uno Stato che quanto ad efferatezze non poteva considerarsi da meno: l’Unione Sovietica.

D’altronde, proprio quella indispensabile dose di realismo che animava pure quei leader umanitaristi trovava subito una rapida conferma della sua bontà nella convergenza che, per fini molto diversi, si realizzò allora nell’approvazione di un patto per la spartizione della Palestina da cui sarebbe nato nel 1948 Israele. Stalin, per obiettivi tutti suoi, contribuì non poco alla nascita dello Stato ebraico, tanto da far sembrare l’antisemitismo dei suoi odierni discendenti una tragica palinodia della storia. Agli occhi dei leader occidentali la creazione di Israele era un giusto risarcimento per quell’Olocausto perpetrato ai danni degli ebrei. E insieme un grido e un monito: “Mai più!”. Che ora proprio quell’ONU che legò la sua nascita a quella di Israele faccia passare ad ampia maggioranza, come è avvenuto l’altro giorno, una risoluzione che mette lo Stato ebraico sotto assedio sullo stesso piano dei nuovi nazisti di Hamas, non è solo un segno dei tempi. È qualcosa di più: la certificazione definitiva del fallimento di quella organizzazione. E della necessità di lavorare, a livello internazionale, perla creazione di una sicuramente più utile Alleanza delle democrazie liberali.

 

 

 

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