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Darmanin, l'anti-Meloni umiliato all'Eliseo

Mauro Zanon
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Lunedì sera, si è presentato all’Eliseo con le orecchie basse e le sue dimissioni in mano: nessuno lo aveva mai visto così abbattuto e rassegnato. Il presidente della Repubblica francese, Emmanuel Macron, le ha respinte, ma Gérald Darmanin è ormai l’anello debole del governo di Parigi dopo la bocciatura del progetto di legge sull’immigrazione da lui promosso con grande clamore.

Da lunedì non alza più la cresta il ministro dell’Interno francese, quello che dava a Giorgia Meloni dell’incapace nella gestione dei migranti e manda i suoi gendarmi a sconfinare in Italia, quello che vuole essere il nuovo Sarkozy, ma che dell’ex presidente ha soltanto i modi ruvidi e il linguaggio burbero. «È un fallimento», ha ammesso lo stesso Darmanin lunedì sera in diretta su Tf1.Il progetto di legge, tramite il quale il ministro dell’Interno voleva, tra le altre cose, facilitare le espulsioni degli individui considerati pericolosi per la sicurezza dello Stato, è stato respinto per 5 voti (270 a 265). E tra i votanti della mozione di rigetto presentata dai Verdi, ci sono anche i Républicains (Lr), il partito gollista in cui Darmanin è nato e cresciuto politicamente.
«Invito il ministro dell’Interno a ritrovare la calma e la serenità, e a lavorare a servizio dei francesi e non a servizio delle sue ambizioni.

 

 

 

Quest’estate voleva essere presidente della Repubblica, in autunno voleva sostituire il primo ministro», ha ironizzato il presidente dei gollisti, Éric Ciotti, in risposta all’accusa di Darmanin secondo cui Lr è il principale responsabile della bocciatura del testo.

 

FUOCO AMICO

Ciotti, inoltre, ha aggiunto che i gollisti hanno chiuso qualsiasi canale di dialogo con il ministro dell’Interno e che d’ora in avanti parleranno solo con la premier Élisabeth Borne. Per uno che ha scalato le gerarchie della République attraverso il gollismo, essere abbandonati dagli ex compagni di strada è una sconfitta nella sconfitta, anche perché Darmanin contava molto su di loro per le sue ambizioni presidenziali (nel 2027, sogna(va) di essere il candidato del rassemblement tra macronisti e gollisti).


Che non sia un buon momento per il titolare dell’Interno, lo si è capito anche dalla storia di Academia Christiana, dal nome del movimento cattolico francese che Darmanin vorrebbe dissolvere per «apologia di antisemitismo», ma che avrebbe confuso con un’altra associazione. Interrogato su Cnews sulle sue intenzioni di dissolvere Academia Christiana, Darmanin aveva accusato il movimento di essere antisemita e di sostenere «il collaborazionismo del maresciallo Pétain».

 

 

 

QUERELA PER DIFFAMAZIONE

Peccato che il ministro, secondo il legale di Academia Christiana Frédéric Pichon, abbia attribuito all’associazione delle frasi e delle prese di posizione di un altro collettivo cattolico integralista, Civitas. «Ho sporto questa mattina denuncia per diffamazione contro il Signor Darmanin», ha annunciato ieri l’avvocato di Academia Christiana. Ieri pomeriggio, infine, è arrivato un ulteriore schiaffo. Il Consiglio di Stato ha annullato infatti l’ordinanza della prefettura del Pas-de-Calais che, su indicazione del ministero dell’Interno, aveva vietato ai tifosi del Siviglia di andare in trasferta a Lens per la partita di Champions League contro la squadra locale. «I tifosi del Siviglia potranno essere presenti questo pomeriggio allo stadio Bollaert-Delelis», ha annunciato il club spagnolo, che aveva fatto ricorso. Il presidente del Siviglia, José Castro, aveva definito il divieto «una vera e propria atrocità, che limita i diritti degli europei».

 

 

 

Nelle sue motivazioni, il Consiglio di Stato ha giudicato «sproporzionate» le misure restrittive che erano state imposte dalla prefettura, sottolineando che «non esiste nessuna rivalità tra i due club e i loro tifosi, come testimoniato dalla trasferta senza incidenti di 2.000 tifosi del Lens a Siviglia per la partita del 20 settembre 2023». Darmanin, il ministro sfiduciato da tutti.
 

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