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Israele gronda democrazia anche negli errori

Claudia Osmetti
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Ciò che segue non piacerà ai filo-palestinesi. Non piacerà ai tanti che negli ultimi tre giorni si stanno strappando le vesti con i soliti slogan su Israele-Stato-terrorista e Netanyahu-criminale-di-guerra. Epperò la verità è che anche nell’operazione (fallimentare) con cui le Idf hanno ucciso, per errore, tre ostaggi, a Shujaiya, nel centro nord della Striscia di Gaza, venerdì scorso, scambiandoli per nemici, sparando loro addosso nonostante una bandiera bianca, Gerusalemme si mostra per quello che è: un Paese libero e democratico. Occidentale.

Non piacerà, quello che stiamo per scrivere, a chi ancora va in piazza con la bandiera palestinese e la kefiah; a chi riempie i social e talk show con commenti della serie ecco-vedete; a chi rispolvera il ritornello from-the-river-to-the-sea; a chi (consapevolmente o no) indicando la luna si ferma a guardare il dito.

 

 

Il dito sono quei tre corpi. Trivellati, ammazzati: di Yotam Haim e Samer Talalka e di un terzo rapito nel progrom del 7 ottobre. La luna è ciò che è successo dopo. Ed è successo perché Israele è una democrazia, non l’ultima del mondo libero ma la prima nell’avamposto del Medioriente. È la differenza tra Israele e Hamas, ed è una differenza che (al netto delle analisi della domenica), in questo caso, ha almeno tre ricadute.
Lì da vedere per chi volesse scorgere un po’ più in là del proprio indice.

Primo: la notizia del «tragico errore» l’ha rilasciata, immediatamente, Israele. Non una tivù araba, non la stampa internazionale. È stato Daniel Hagari, il portavoce delle Idf, ad ammetterlo. Subito, senza tentennamenti. (È successo lo stesso quando Hamas ha colpito, per un altrettanto tragico errore, con un missile difettoso, il parcheggio dell’ospedale Al-Shifa di Gaza City? Non pare proprio).

 

 

Secondo: un attimo dopo l’annuncio di Hagari, a Tel Aviv si è riunita, spontaneamente, una massa di manifestanti i che ha bloccato mezza città per chiedere un accordo immediato e il ritorno a casa degli ostaggiancora detenuti nella Striscia. Un esempio di libertà, cioè un esempio di uno Stato libero nel quale chi vuole, come vuole, può scendere in piazza ed essere pacificamente discorde con il suo governo. (È successo lo stesso a Gaza, dopo quel 7 ottobre maledetto, dopo che i terroristi tagliagole di Sinwar e Haniyeh hanno iniziato la carneficina che ha portato alla guerra? Non pare proprio).
Terzo: i militari israeliani stanno indagando sulle circostanze di quelle tre uccisioni, vogliono capire. E vogliono farlo al punto che Israele «agirà sulle regole di ingaggio se c’è stata una violazione». Lo dice Mark Regev, che è un consigliere del premier Benjamin Netanyahu, perché «è chiaro che non vogliamo uccidere innocenti».

(È successo lo stesso, nella Striscia, dopo che Hamas ha stipato armi e combattenti nei tunnel sotto le case dei civili o nelle scuole o nei pronto soccorso? C’è mai stata, nella Striscia, un’assunzione di responsabilità, un mea culpa, un’indagine, anche ufficiosa, che non abbia tirato in ballo il “pericolo sionista” e l’occupazione ebraica? Non pare proprio). È un orrore, è una figuraccia (chiamatela come volete), quella dei tre ostaggi ammazzati dalle Idf. Ma nella sua reazione c’è l’ultima, l’ennesima, riprova che Israele è Occidente. 

 

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