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Lula scivola sulla difesa delle terre degli Indios

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Daniele Dell'Orco
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Il governo brasiliano Lula scivola sulla buccia di banana dei diritti delle popolazione indigene a beneficio dei potenti cartelli dell’agroalimentare. La scorsa settimana il Congresso del Paese ha annullato il recente veto del presidente alla legge sul cosiddetto «limite temporale delle terre indigene». Il disegno di legge mira a fissare un limite temporale per la demarcazione di questi appezzamenti, consentendo deroghe solo alle popolazioni indigene che possono dimostrare di aver occupato le loro terre prima del 5 ottobre 1988, data di entrata in vigore dell'attuale Costituzione brasiliana che ha codificato il processo di demarcazione delle terre.

La demarcazione è uno strumento importante per aiutare a proteggere sia le numerose popolazioni autoctone brasiliane che l’ambiente. Le terre demarcate ufficialmente sono destinate a essere protette dal governo da accaparratori di terre, allevatori, minatori e taglialegna che stanno invadendo sempre più i territori indigeni in luoghi come l’Amazzonia brasiliana.
Il problema è che il principio della demarcazione non riconosce che molti gruppi indigeni siano stati sfollati dalle loro terre ancestrali ben prima di 35 anni fa, in particolare durante la dittatura militare brasiliana del 1964-1985. Ed era in effetti ciò che ha sostenuto la Corte suprema del Brasile quando ha stabilito che la tesi dei marcatori temporali fosse incostituzionale con un voto 9-2 a settembre. Meno di una settimana dopo, però, il Senato ha legiferato comunque. Luiz ha poi posto il veto su diversi capitoli della stesura, un diritto del presidente se ritiene che un principio sia incostituzionale o contrario all’interesse pubblico, o entrambe le cose. Lula ha dichiarato la PL 2903, questa la denominazione della legge, «contraria all’interesse pubblico e incostituzionale» in una dichiarazione rilasciata a Rodrigo Pacheco, presidente del Senato, prima di porre il veto sulla maggior parte della proposta. Il Congresso, però, dominato dai conservatori, adesso ha annullato il suo veto con un ampio margine e la legge è stata pubblicata sulla Gazzetta ufficiale due giorni fa.


«Avrà un impatto negativo sulla conservazione delle foreste, sulla lotta al cambiamento climatico e sul futuro delle generazioni a venire», ha commentato la deputata indigena Célia Xakriabá su X. Definita «legge sul genocidio indigeno» dall’osservatorio ambientale Climate Observatory, la nuova norma apre il campo alla costruzione di strade, miniere, dighe e aziende agricole nelle terre indigene. Tre dei veti di Lula sono stati comunque mantenuti dal Congresso grazie a un accordo politico raggiunto tra il governo e l’opposizione: la legge finale non autorizza i contatti con i gruppi isolati, non permette l’uso di colture geneticamente modificate nei territori indigeni e non dà al governo il permesso di reclamare terre da gruppi i cui tratti culturali sono considerati cambiati. Ma le organizzazioni indigene, gli attivisti e i partiti di ultrasinistra parlano di chiaro attacco ai diritti degli indigeni che espone i nativi brasiliani al rischio di ulteriori violenze. Un fronte compatto che si sta preparando a impugnare la legge presso la Corte suprema. Il ministro per i Popoli indigeni, Sônia Guajajara, ha dichiarato al quotidiano Folha de S Paulo che anche il suo ufficio si appellerà anche alla Corte del Paese per bloccare una legislazione che «va completamente contro gli accordi sul clima che il Brasile ha costruito a livello internazionale... e mette a rischio i diritti e la protezione dei popoli e dei territori indigeni». Parlando in una trasmissione governativa la scorsa settimana, Guajajara ha detto di rimanere ottimista: «La Corte suprema ha già dichiarato (la tesi, ndr) incostituzionale, difficilmente tornerà indietro sulla propria decisione. Quindi c’è ancora speranza». Il senatore di destra Marcos Rogério, invece, ha difeso il voto, sostenendo che si tratta di un’opportunità per ripristinare la certezza del diritto nel Brasile rurale, dove la gente vive nell’insicurezza a causa della mancanza di confini definitivi della terra. «Vogliamo la pace nelle campagne e la pace per coloro che lavorano e producono cibo per il Brasile e per il mondo», ha dichiarato in un comunicato. Ora è tutto nelle mani della Corte Suprema. Ma per Lula, tra l’incudine dei potenti fazenderos e il martello dell’elettorato progressista, comunque vada sarà una sconfitta.

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