Le presidenziali tra galera e ospizio
La sentenza della corte d’appello federale di Washington alla fine è arrivata e per Donald Trump non sono buone notizie. Il tribunale ha infatti deciso che l’ex presidente e attuale candidato alle primarie repubblicane per la corsa alla presidenza non gode dell’immunità per le accuse di aver cospirato nel tentativo di ribaltare la sua sconfitta elettorale del 2020. «Abbiamo bilanciato gli interessi dichiarati dell’ex presidente Trump nell’immunità esecutiva con gli interessi pubblici vitali che favoriscono il proseguimento di questo procedimento giudiziario», ha scritto la corte nella sua sentenza, concludendo «che l’interesse per la responsabilità penale, sostenuto sia dal pubblico che dal ramo esecutivo, supera i rischi potenziali di rallentare l’azione presidenziale e di consentire controversie vessatorie».
Insomma, l’ex presidente Trump per il tribunale di Washington «è diventato il cittadino Trump, con tutte le tutele che può avere un qualsiasi imputato» e «qualsiasi immunità esecutiva, che avrebbe potuto proteggerlo mentre era in carica come presidente, non lo protegge più da questo procedimento». Ovviamente il tycoon ricorrerà in appello alla Corte Suprema, ha tempo 90 giorni per presentare istanza, e il portavoce della sua campagna elettorale, Steven Cheung, ha detto che «se non sarà riconosciuta l’immunità ad un presidente ogni futuro presidente, appena lasciato l’incarico, sarà immediatamente incriminato dal partito rivale».
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La decisione del massimo tribunale del Paese è tuttavia quanto di meno prevedibile, dal momento che non ci sono precedenti in proposito, ma stando così le cose sembra ormai sempre più complicato evitare un processo che non ha precedenti nella storia americana, tantomeno nell’anno delle elezioni in cui l’imputato ex presidente si presenta come il candidato superfavorito di una delle due parti. Il processo, se processo sarà, si terrà verosimilmente in contemporanea con la campagna elettorale e sebbene i suoi avvocati stanno tentando di ritardarlo possibilmente a dopo le elezioni, Trump ha già dimostrato di essere piuttosto a suo agio nella parte del perseguitato dalla giustizia e di essere in grado di trarne elettoralmente vantaggio.
D’altro canto non è che dall’altra parte ci sia uno sfidante particolarmente insidioso. Anzi, lo scontro che si profila è quello, anche questo del tutto inedito, tra un incriminato e un rincitrullito, tra la galera e l’ospizio. Nella sua ultima uscita pubblica di domenica scorsa Biden ha dimostrato una volta di più di essere ormai totalmente inadeguato, pericolosamente inaffidabile.
Parlando proprio delle vicende di Trump a Las Vegas, durante un evento elettorale, ha scambiato in una sola frase Macron con Mitterand, la Germania con la Francia, correggendosi in parte e poi insistendo sullo stesso errore. «Subito dopo la mia elezione sono andato a quello che chiamano “meeting del G7” con tutti i leader della Nato» ha raccontato alla platea con una voce leggermente impastata che se non fosse per l’età si sarebbe detto fosse un po’ alticcio. «Ero nel sud dell’Inghilterra» ha poi proseguito, «mi sono seduto e ho detto “L’America è tornata”. E Mitterand della Germania... volevo dire della Francia, mi ha guardato e ha detto “Dimmi... cosa....perché, per quanto tempo sei tornato?”». Tutto qui? Purtroppo no. «Io l’ho guardato» ha proseguito Biden, «e il cancelliere tedesco mi ha detto: Cosa direbbe, presidente, se domani prendesse in mano il London Times e leggesse: un migliaio di persone fa irruzione nella Camera dei comuni, sfonda porte, due poliziotti uccisi per fermare l’elezione del primo ministro. Cosa direbbe?». La cosa più grave è che non è nemmeno la prima volta che Biden cita erroneamente l’ex presidente francese defunto nel 1996.
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Nel 2022 ha raccontato esattamente la stessa storia e ha commesso lo stesso errore, come un disco rotto. Il suo entourage sa benissimo che quando inizia a parlare a ruota libera, al di fuori del copione preparato, sono guai. Recentemente il presidente è stato accusato di tenere un profilo eccessivamente basso, di tenersi ai margini del palcoscenico evitando di intervenire personalmente e direttamente anche quando dovrebbe. Ma non è altro che una precauzione di chi gli sta vicino, più parla e più i suoi elettori si rendono conto che non può fare il presidente per altri quattro anni.