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Tucker Carlson, scartato dalla Cia: chi è il giornalista Usa che ha intervistato Putin

Carlo Nicolato
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Per quella controversa quanto, diciamolo, noiosa intervista a Putin, a Tucker Carlson sono state assestati alcuni dei peggiori insulti che un giornalista può ricevere, da serial killer dell’onorata professione (Repubblica) a utile idiota del nemico (Financial Times).

Quasi complimenti per l’ex stella di Fox News che già agli albori della sua carriera, quando conduceva la trasmissione Firefox sulla Cnn, era il 2004, gli era stata appiccicata addosso dal noto conduttore comico Jon Stewart quell’etichetta di «dick» («cazzone» diremmo noi) che mai si scrollò di dosso, e più avanti, all’apice del suo successo, quella di «manipolatore figlio di put***a» del deputato repubblicano antitrumpista Adam Kinzinger. Eppure, prima del grande salto alla tv - che definì economicamente necessario «quando ci si riproduce così tanto» (aveva già 4 figli) -, Tucker si era già fatto un nome tra i giornalisti di talento.

 

 

 

Il suo ritratto dell’allora governatore del Texas George W. Bush per Talk Magazine di Tina Brown (siamo nel 1999), nel quale lo si definiva «testardo e inesperto», fu considerato una gemma di preveggenza. Il pezzo che scrisse per Esquire sul viaggio in Africa con Sharpton, Cornel West e altri attivisti per i diritti civili era un capolavoro di umanità e sottile ironia. Capacità che certamente il giovane Tucker aveva attinto a piene mani dal padre Dick (quel che si dice la coincidenza), giornalista d’assalto e di talento, che aveva cresciuto i figli a pane e reportage.

 

L’ESEMPIO DEL PADRE

Lo stesso Tucker ha raccontato di quando, ancora in braghe corte, era stato scaraventato insieme al fratello Buckley sulla scena di un crimine ed era rimasto impressionato dalla visione del cadavere crivellato di colpi sul marciapiede. E di un’altra volta quando, ad appena sei anni, era stato portato a una cena domenicale a casa di Eddie Cannizzaro, nella San Fernando Valley, noto mafioso e principale sospettato di un colpo di mafia a Beverly Hills del 1947. «Era un padre meraviglioso e impegnato» disse Tucker in una sua biografia scritta dall’amico Chadwick Moore, «ma non era il tipo di persona che ti veniva a prendere. Perché avrebbe dovuto impedirti di vivere un’esperienza che ti cambia la vita con l’autostop?».

 

 

 

Con la madre invece il rapporto si è subito reciso a sei anni, quando la donna convinta di essere un’artista bohemien se ne andò di casa per trasferirsi in Francia. Quella fu di fatto l’ultima volta che la vide prima della sua morte per cancro nel 2011. Nato nel 1969 a San Francisco, Tucker trascorse parte della sua giovinezza a San Diego dove comunque condusse una vita molto confortevole grazie al secondo matrimonio del padre con Patricia Swanson, ereditiera dei cibi surgelati omonimi.

A 14 anni fu mandato in un prestigioso collegio nel Rhode Island dove divenne noto per il suo aspetto da “beach boy” della West Coast e per la sua capacità di essere sempre al centro dell’attenzione durante le discussioni. E' qui che ha incontrato la sua futura moglie Susie Andrews, che era anche figlia del rettore del collegio, con la quale si è sposato poi nel 1991, nella stessa cappella del liceo, ad appena 22 anni. Fu in quel periodo che iniziò anche a indossare il papillon, il suo segno distintivo durante le prima apparizioni in Tv.

«L’uomo. La leggenda. Il papillon», così pubblicizzava la Msnbc il programma serale chiamato Tucker che conduceva dal 2005 al 2008. Conseguita la laurea al Trinity College di Hartford, nel Connecticut nel 1991, Carlson fece domanda per lavorare alla Cia ma fu rifiutato, e così decise di seguire le orme del padre e intraprendere la carriera nel giornalismo. Dopo aver collaborato per vari giornali ed essersi fatto un nome, passò alla tv, prima alla Cnn dove ebbe l’incidente con Stewart, che all’epoca era una potenza e che fu determinante per il suo licenziamento (anche se lui sostiene che fu lui ad andarsene in quanto l’emittente era troppo partigiana e «un posto frustrante in cui lavorare») e poi alla Msnbc.

Secondo alcuni il momento più basso della sua carriera fu quando nel 2006 partecipò a Ballando con le stelle, contro il consiglio dei suoi colleghi che lo ammonivano che avrebbe potuto fare la fine di Jerry Springer, il pioniere della tv trash e presente anche lui allo show. Carlson invece prese la cosa seriamente, si allenava tutti i giorni, salvo quando fu spedito in Libano per coprire la guerra tra Israele e Hezbollah, ma fu eliminato al primo turno. In quel periodo smise anche di indossare il papillon («mi piacciono, ho passato molto tempo a difenderli. Ma d’ora in poi ne farò a meno»), cosa che alla Msnbc non piacque, ma non fu certo quello il motivo per cui fu licenziato nel 2008.

 

 

 

Nel 2009 inizia a collaborare con Fox News, fino a che nel 2016, in contemporanea con l’elezione di Trump che lui sostiene, gli viene affidato il Tucker Carlson Tonight. E' l’apoteosi, il suo show viene spostato nella fascia oraria di prima serata dell’ex conduttore Bill O’Reilly e Tucker diventa con una media di 5,36 milioni di spettatori «l’uomo più visto» della tv via cavo, ma anche il più discusso. Tucker è bravo ma irriverente, prende posizioni scomode e viene accusato di tutto e di più.

 

LE CONTROVERSIE

Di razzismo quando nel 2018 afferma che gli immigrati avrebbero reso l’America «più sporca e più povera», o quando l’anno successivo dopo la sparatoria di massa di El Paso, in Texas, dice che i suprematisti bianchi non erano un problema. Di misoginia quando in un dibattito su Trump dice, a proposito della giornalista di Teen Vogue Lauren Duca, di «attenersi agli stivali alti fino alla coscia». Scatena l’ira della sinistra quando giustifica il 17enne Kyle Rittenhouse che aveva sparato durante le proteste di Black Lives Matters uccidendo due persone. Fanno discutere anche le sue posizioni contro i vaccini e soprattutto contro l’intoccabile Anthony Fauci, il volto della Casa Bianca nella lotta al Covid, ma è con la rivolta del 6 gennaio e la sua difesa delle tesi di frode elettorale sostenute da Trump che la Fox decise di farlo fuori.

La goccia che fa traboccare il vaso arriva con la causa per diffamazione da quasi 800 milioni di dollari persa con la Dominion Voting Systems, la società finita al centro delle accuse del tycoon e di Carlson. Durante il processo emerge in realtà che il giornalista privatamente non aveva mai creduto all’idea del complotto e che nutriva anche un certo disprezzo per Trump. E' stata la stessa rete di proprietà di Rupert Murdoch ad affermare che il conduttore televisivo era «riconosciuto da tutti» per essere uno che affermava il falso e che quindi non andava mai preso sul serio.

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