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Netanyahu, la Corte dell'Aja pronta al mandato d'arresto

Carlo Nicolato
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Il futuro di Bibi Netanyahu, nonché quello del suo ministro della Difesa Gallant, del capo delle Forze di Difesa Israeliane Herzi Halevi e di altri membri del suo governo, è nelle mani della Corte penale internazionale dell’Aja. In particolare in quelle del procuratore britannico di origini pakistane Karim Ahmad Khan al quale da tempo è stato affidato il fascicolo sui presunti crimini di guerra israeliani e che starebbe per spiccare alcuni mandati d’arresto eccellenti.

Khan, di formazione laica ma di sicura fede musulmana e con certo un interesse professionale perla sharia (ha tenuto conferenze in proposito), è lo stesso procuratore che non ha avuto esitazioni a ordinare l’arresto di Putin, ed è presumibile che a maggior ragione non ne avrà a ordinare quello del premier israeliano e dei suoi collaboratori.

 

 

Netanyahu è fermamente convinto che tutto questo stia puntualmente per accadere e secondo quanto riportato dai media israeliani avrebbe passato l’intero weekend al telefono con funzionari statunitensi, cercando di assicurarsi il loro sostegno per bloccare qualsiasi azione legale della Cpi. Ieri sera ha avuto un colloquio anche con Biden. La questione è oltremodo delicata e complessa, di mezzo ci sono anche le richieste della Casa Bianca perché Israele eviti l’operazione militare a Rafah e la trattativa per la liberazione degli ostaggi. Tutto è collegato. Gli Stati Uniti, come peraltro Israele stessa, non sono firmatari dello Statuto di Roma con il quale la Corte è stata istituita e quindi teoricamente non hanno voce in capitolo nelle decisioni della stessa. Tuttavia, in cambio della sospensione dell’attacco a Rafah, Washington può mettere in campo tutto il suo peso politico, così come altri Paesi occidentali sembra già stiano facendo, ma tale mossa per alcuni sarebbe la prova che l’Aja non agisce autonomamente, e che anche il mandato di arresto per il presidente russo non sia la conseguenza di un processo giuridico imparziale, ma il frutto di decisioni politiche strategiche esterne. Il Tribunale insomma ne uscirebbe malissimo.

COME PUTIN - Di certo c’è che l’eventuale mandato per l’arresto del capo del premier israeliano e di altri ministri avrebbe implicazioni pesantissime per Gerusalemme e non solo. Nel caso i 120 Stati membri della Corte penale internazionale non potrebbero far finta di niente, secondo le regole sottoscritte dal trattato sarebbero tenuti ad arrestare i funzionari israeliani sul loro territorio e a spedirli all’Aja. In pratica Bibi e gli altri non potrebbero più recarsi all’estero, se non negli Usa, in Russia e in Cina, cioè nei principali Paesi che non hanno aderito alla Cpi. Un terremoto che avrebbe come conseguenza l’isolamento internazionale del governo e la probabile caduta dello stesso.

 

 

ONDATA DI RAZZISMO - Di fatto la sconfitta di Israele e la vittoria politica dei terroristi di Hamas. Una tale prospettiva peraltro peggiora le speranze dei pochi ostaggi rimasti di tornare a casa, almeno in tempi relativamente rapidi. Secondo il ministro degli Esteri israeliano Israel Katz il mandato d’arresto poterebbe anche scatenare un’ondata di antisemitismo a livello mondiale e ha già messo in guardia tutte le delegazioni diplomatiche israeliane all’estero di «prepararsi immediatamente».

La trattativa dunque si deve giocare su più sponde. Lasciando intendere che qualcosa si sta muovendo in una direzione precisa ieri il ministro della Difesa Gantz ha detto che «il ritorno degli ostaggi israeliani a casa è più importante dell’operazione militare a Rafah». Un’altra fonte israeliana ha poi dichiarato al Times of Israel che «l’unico modo per evitare l’ingresso a Rafah è raggiungere un accordo sugli ostaggi» e che in tal senso Israele ha fatto «grandi concessioni», incluso il ritorno dei palestinesi sfollati nel nord della Striscia, cioè una delle principali richieste di Hamas. La risposta alla controproposta israeliana dovrebbe arrivare oggi in Egitto dove è previsto l’arrivo di una delegazione di Hamas guidata da Khalil al-Hayya, membro della sezione politica del gruppo terrorista. Il suddetto «incontrerà il direttore e i funzionari dei servizi segreti egiziani per discutere e consegnare la risposta del movimento», ha fatto sapere Hamas, ma è molto più probabile che i terroristi prenderanno tempo in attesa appunto di avere informazioni più precise sul mandato di arresto a Netanyahu che secondo i rumors potrebbe arrivare già questa settimana. «Ogni volta che siamo vicini a un accordo entrambe le parti lo sabotano» ha detto un funzionario del Qatar, e stavolta c’entra anche il Tribunale dell’Aja. 

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