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Hamas, ecco tutti i crimini del gruppo terrorista che i pacifisti non vedono

Marco Patricelli
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Il principio di proporzionalità invocato contro Israele dopo la reazione armata alla mattanza del 7 ottobre a opera di Hamas è più emozional-utopistico che razional-giuridico. Il diritto internazionale, che non si può evocare o tacere per capriccio o interesse o tirare per la giacca quanto più fa comodo, sugli ostaggi e sugli scudi umani è abbastanza chiaro e va ben oltre il principio di causa-effetto e quindi delle responsabilità. Gli ostaggi civili sono stati razziati da Hamas in Israele e adoperati come scudi umani per obiettivi militari palesi, al pari dell’indistinta massa di civili palestinesi della Striscia di Gaza a protezione dei centri di comando sotterranei rispetto ad apparentemente innocue e giuridicamente rispettate strutture come luoghi di culto, scuole e ospedali. Niente di nuovo a Gaza, come già verificatosi negli attacchi del 2008-2009 e del 2014 e come sancito dettagliatamente dalle Nazioni Unite (Report Human Rights Council), che i partigiani nostrani in kefiah dovrebbero per lo meno rileggere.

 

Siamo di fronte a una caratteristica del conflitto cosiddetto asimmetrico, in cui la parte militarmente più debole ricorre alla protezione degli obiettivi con la popolazione civile per neutralizzare o depotenziare la superiorità del nemico. Si agisce su due fattori: il primo è quello della ritrosia in questo scenario a far uso pieno di armi, mezzi e uomini, come accadrebbe in un conflitto classico finalizzato alla sconfitta o all’annientamento sul campo di battaglia; il secondo è l’elemento mediatico, che agisce come una leva, non di rado distorsiva e unilaterale, sull’opinione pubblica interna e internazionale. Le immagini di donne e bambini sono uno choc soprattutto in realtà sociali come quelle occidentali, e innescano reazioni che portano a livellare ragioni e torti, quando non addirittura a rovesciarli in prospettiva. La legalità o la legittimità dell’attacco svapora alla luce della percezione delle sue conseguenze e di come vengono riportate dai mass media nei canali ufficiali e strutturati come in quelli ufficiosi e indistinti dei social.

 

Il senso di umanità prevale sul Diritto internazionale umanitario che si propone di disciplinare le modalità di un conflitto e temperarne gli effetti indipendentemente dalle ragioni che l’hanno scatenato e del ricorso alla forza. Uno dei cardini sta appunto nel divieto di considerare i civili come obiettivi militari; addirittura è vietato attaccare obiettivi militari se si prevedono perdite sproporzionate tra la popolazione civile, ma questo non può certamente giustificare l’utilizzo consapevole o doloso dei civili per impedirlo. Quello che sta accadendo a Gaza è emblematico ed eloquente. Gli ostaggi israeliani sono usati come strumento di ricatto militare e politico: evitare un attacco risolutivo ad ampio raggio, premere per il rilascio di centinaia di prigionieri condannati per terrorismo.

 

La Convenzione di Ginevra del 1949, all’articolo 3. prevede che «sono e rimangono vietate, in ogni tempo e luogo (...) le violenze contro la vita e l’integrità corporale, specialmente l’assassinio in tutte le sue forme, le mutilazioni, i trattamenti crudeli, le torture e i supplizi; la cattura di ostaggi; gli oltraggi alla dignità personale, specialmente i trattamenti umilianti e degradanti». Il divieto di cattura degli ostaggi è ribadito all’art. 34 e pure nell’art. 147, unitamente a distruzione e appropriazione di beni «non giustificate da necessità militari e compiute in grande proporzione facendo capo a mezzi illeciti e arbitrari». Esattamente quello che invece Hamas ha messo in opera il 7 ottobre, uccidendo, mutilando, stuprando, torturando, distruggendo, esibendo i prigionieri come trofei, in particolare se donne. Nel 1977, sempre a Ginevra, all’art. 48 del I Protocollo, è stato stabilito che le parti in conflitto armato «dovranno fare, in ogni momento, distinzione tra la popolazione protetta e i combattenti, nonché tra i beni di carattere civile e gli obiettivi militari», vietando le rappresaglie sui civili (art. 20), la cattura di ostaggi e le punizioni collettive (art. 75).

 


Lo stesso Protocollo cerca di mettere in chiaro la materia dei bombardamenti aerei e dei centri urbani, che nel secondo conflitto mondiale confluirono nel concetto di guerra totale in cui la popolazione civile era considerata alla stregua di obiettivo militare, come fronte interno, con gli orripilanti risultati degli attacchi ad Amburgo e Dresda, fino al picco dell’olocausto nucleare di Hiroshima e Nagasaki. È prescritto che i belligeranti devono evitare di collocare obiettivi militari nei pressi di zone densamente abitate e prendere ogni precauzione per allontanare la popolazione civile da obiettivi divenuti militari o su un territorio divenuto zona di guerra. È quello che non è accaduto a Gaza, dove peraltro Israele ha indicato per tempo le aree da far evacuare, preannunciando attacco e obiettivi sensibili. Le responsabilità ricadono evidentemente sulla leadership palestinese.

 


Va sottolineato che «utilizing the presence of a civilian or other protected person to render certain points, areas or military forces immune from military operations» è un crimine configurato nello Statuto della Corte Penale Internazionale (art.8). Ora si pretenderebbe da Israele, a fronte di reiterati atti criminali e illegittimi, un atteggiamento “comprensivo”, spinto dalle opinioni pubbliche occidentali con cortei, manifestazioni esagitate, boicottaggi paraculturali e deliranti accuse di genocidio contro il popolo palestinese. Nessuno che abbia manifestato per chiedere in maniera chiara e netta a Hamas - imponendolo se necessario attraverso i canali delle connivenze e delle reti di assistenza internazionali, o della diplomazia sotterranea - il rilascio degli ostaggi israeliani: la condizione necessaria e sufficiente per far sospendere l’opzione militare dell’Idf e allentare la morsa sul popolo palestinese che il suo braccio armato sostiene a parole di rappresentare e di difendere. La soluzione più semplice è però quella meno praticabile, forse proprio perché è davvero l’unica sicuramente efficace.

 

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