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Nigel Farage sbaglia su Kiev, ma svela tristi verità sull'Occidente

Giovanni Longoni
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Nigel Farage in formato Alessandro Orsini sta subendo attacchi da destra e da sinistra per aver dichiarato venerdì in una intervista alla BBC che la colpa della guerra in Ucraina è dell’Occidente. Il leader del rampante Reform Uk Party non ha fatto che riscaldare la vecchia minestra filoputiniana con una spruzzata di realpolitik: sarebbe stato, insomma, l’allargamento della Nato e della Ue a est, nel giardino di casa dello zar, ad aver provocato la reazione bellicosa del Cremlino. Il mondo, in quest’ottica da gang della strada, se lo è spartito un pugno di grandi potenze e i Paesi più piccoli e deboli devono subire. Zitti e Mosca. Se poi tu provi a soffiare al palestrato russo in tuta della Adidas la sua fidanzata ucraina, aspettati solo rogne.

A parte l’aspetto ributtante di un simile modo di pensare, almeno per noi occidentali e filoatlantici senza compromessi, il problema è che non sta in piedi nemmeno da un punto di vista realpolitiker: che cavolo di grande potenza è quella che invade il debole vicino, poi scappa a gambe levate per la reazione inaspettata della vittima e anche oggi che occupa in forze le regioni orientali lo fa con enorme fatica? Se non riesci a tenere insieme l’impero, cara Russia, cambia mestiere. La sparata di Nigel, però, è talmente fuori luogo che merita di essere considerata in modo non superficiale. Innanzitutto perché viene da un politico sulla cresta dell’onda, uno che potrebbe diventare il leader della destra britannica, soprattutto uno che non ha bisogno di sparate per conquistare spazi sui media. In secondo luogo, la frase conta perché Farage è un amico e alleato di Donald Trump.

Quando il premier britannico Rishi Sunak ha indetto le elezioni anticipate, l’ex paladino della Brexit sembrava chiamarsi fuori dallo scontro per ritagliarsi un ruolo nella campagna del candidato repubblicano alla Casa Bianca.

Invece Nigel, sentito il miliardario newyorkese, è tornato sui suoi passi, ha preso le redini di Reform Uk e lo ha già condotto al sorpasso sui Conservatori. A Trump insomma serve di più a Londra e anche la frase sull’Ucraina va con tutta probabilità inquadrata nell’ottica del possibile ritorno in sella del 45° presidente americano. È nota infatti la posizione di Trump del tutto contraria all’impegno a favore di Kiev, posizione condivisa dalla maggioranza del suo partito e pressochè dalla totalità dei contribuenti americani.

 

Per quanto concettualmente errata, la frase di Farage mette in luce il problema fondamentale del conflitto nell’est dell’Europa. E cioè che chi guida politicamente l’Occidente, vale a dire l’amministrazione democratica americana e la Commissione europea, non ha uno straccio di idea su come uscire dalla crisi. Ovviamente, è possibile che lo status quo sia proprio ciò che vogliamo. Per la Nato, da un punto di vista militare, non è disprezzabile che la Russia resti impantanata in un conflitto senza via d’uscita e con in più il fardello delle sanzioni. Ma la politica dovrebbe guardare anche al di là della strategia bellica e invece la leadership di Biden in questo non dà segni di vita.

Esistono solo due posizioni al momento: guerra a oltranza (sulla pelle degli ucraini che però di voglia di morire ne hanno sempre meno) o resa di Kiev più o meno senza condizioni: è la «bandiera bianca» evocata da papa Francesco il quale tiene aperti canali diplomatici col Cremlino (ieri Bergoglio ha visto l’ambasciatore Soltanovsky per discutere del cosiddetto piano di pace di Putin). Nessuna posizione intermedia, nessuna apertura alle trattative perché Putin, il cattivo, vuole tenersi la parte orientale dell’Ucraina.

Risultato: la Russia si tiene e terrà a lungo la parte orientale dell’Ucraina, a meno che la Nato non entri in guerra. Il presidente Zelensky sente puzza di bruciato: capisce di aver perso un terzo del Paese (poco aiuta dirgli che è la zona dove vive la popolazione più filorussa) e non ha nulla da dare al suo popolo per giustificare una guerra lunga e feroce, a parte l’accordo di sicurezza con gli Usa che però non dice che Washington interverrà a difendere l’alleato.

L’Occidente non va a trattative con Putin perché il leader russo è un dittatore ed è tutta colpa sua. Ma lo stesso Occidente (soprattutto l’Europa) non vuole impegnarsi più di tanto a sconfiggere il tiranno. Si spera nel miracolo: che gli ucraini non si sa come vincano o che Vladimir si penta e si converta. Peggio ancora: non diamo a Zelensky nulla di solido in cambio di quello che ha perso, cioè non facciamo entrare Kiev nella Nato, unica garanzia contro le minacce di Mosca. Il rischio è evidente: alla prima occasione elettorale sarà Kiev a pentirsi e a chiamare di nuovo il vecchio protettore. Quello con la tuta Adidas.

 

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