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Francia, il paradosso dell'islamo-gauche che per inseguire ogni libertà finisce per allearsi con la teocrazia

Corrado Ocone
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L’inaspettato successo ottenuto alle elezioni legislative di domenica scorsa dalla France Insoumise (“la Francia indomita”, ndr) non va sottovalutato. Esso sancisce l’alleanza fra sinistra radicale ed elettorato islamico o islamista su cui aveva puntato Jean-Luc Mélenchon nella campagna elettorale. È perfettamente appropriato parlare perciò di islamo-gauchisme, come hanno cominciato a fare molti osservatori e analisti politici di diversa estrazione politico-culturale. Ma il risultato elettorale non va sottovalutato anche perché l’alleanza messa in piedi da Mélenchon non è semplicemente tattica, non nasce a caso. Ad essa si è giunti attraverso una lunga storia: intellettuale, prima che politica. Si tratta di una storia che è sicuramente tutta francese, ma anche un fenomeno che ha avuto la capacità di penetrare nella mentalità comune di un’ampia fetta di docenti e studenti, fino a diventare la principale piattaforma programmatica delle contestazioni in atto nelle università occidentali, a partire dai campus americani.

Non a caso si parla di un predominio globale di una French Theory, cioè di un pensiero che trova ispirazione proprio da quanto teorizzato da una serie di autori francesi marxisti e postmarxisti. È in questo brodo di coltura che, per quanto paradossale possa sembrare, si è generato e ha poi prosperato l’islamo-gauchisme.

 

QUEL LONTANO MAGGIO
Quale sia il paradosso, è presto detto: può la sinistra che si vuole libertaria allearsi con i fautori di una politica teocratica e oscurantista? Cerchiamo di dipanare qualche filo. Il gauchisme nasce, subito dopo le convulsioni del Maggio parigino, come una ripresa del marxismo su basi nuove, movimentiste e radicali. Il movimento si presenta allora come fortemente critico della sinistra tradizionale e dei suoi partiti, a cui imputa di essersi “imborghesiti” e sclerotizzati in patria e di non aver mai osato criticare le degenerazioni burocratiche (non tanto quelle delinquenziali) del socialismo reale. Il gauchisme nasce con una vena libertaria: predica la liberazione dei desideri, nonché la “decostruzione” non solo dei rapporti di forza e di produzione del sistema capitalistico, ma anche, più radicalmente, delle categorie logiche dello stesso pensiero occidentale. L’Occidente è infatti accusato di ogni nefandezza: fallologocentrismo, razzismo, xenofobia, ecc. ecc..

L’odierno proliferare del dirittismo e l’affermarsi delle teorie no gender sono tutti fenomeni che trovano nel primo gauchisme la loro genesi. Ma a ben vedere in esso trova origine anche l’attenzione simpatetica all’islamismo, che viene visto come una rivolta non solo sociale ma più a fondo culturale.

Testi come I dannati della terra di Frantz Fanon, pubblicato con l’introduzione di Sartre nel 1961, oppure le lotte anticolonialiste e antimperialiste che avevano portato ad esempio all’indipendenza dell’Algeria, si inscrivevano ancora in un orizzonte classicamente marxista, e quindi classista e sviluppista, in cui la religione, “oppio dei popoli”, non trovava spazio.

 

EVVIVA GLI ALTRI
Nel momento in cui però la lotta perla liberazione diventa la lotta per l’affermarsi di culture “altre” e subordinate, la religione viene a delineare un modello di vita, e quindi politico in senso lato, da tutelare. Senza contare che la religione risponde a quei bisogni di “salvezza” e “purificazione” che hanno da sempre accompagnato, seppur in un orizzonte laico e secolarizzato, la lotta per la “città futura” comunista. La parabola di Roger Garaudy, il teorico marxista passato dallo stalinismo all’islamismo, a cui si convertì nel 1980, è da questo punto di vista esemplare. Egli arrivò addirittura a negare la Shoà, almeno nelle sue reali proporzioni, leggendola come una costruzione degli ebrei per affermare i loro ideali filooccidentali.

Un caso ancora più significativo fu, sempre negli stessi anni, il vero e proprio innamoramento perla rivoluzione iraniana di Michel Foucault, il quale vedeva in Komeini il teorico di un rifiuto della modernizzazione imposta al mondo dall’Occidente. Che a forza di decostruire i meccanismi di potere si sia infine arrivati ad accettare il più efferato dei poteri, quello teocratico, è perciò un cortocircuito non casuale. Il dramma è che, essendo oggi i rapporti di forza cambiati, le danze non le dirigono più pochi e influenti intellettuali della rive gauche ma i sei milioni di musulmani che hanno votato compatti per La france insoumise. La quale, in barba al nome, rischia di aprire le porta proprio alla “sottomissione” paventata e teorizzata da Michel Houbellecq.

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