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Joe Biden, la spada di Damocle del 25esimo emendamento: così può saltare subito

Carlo Nicolato
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Biden ha mollato il colpo, dando con riluttanza retta ai pezzi grossi del partito da Obama a Clinton in giù, personaggi che adesso il presidente odia con tutto se stesso, insomma mettendosi da parte per il bene dei suoi ha di fatto rinnovato le speranze di vittoria dei Dem. C’è chi già parla di entusiasmo ritrovato attorno a una candidata certamente più giovane e sveglia, una che teoricamente, per varie ragioni che poco hanno a che fare con la politica, potrebbe addirittura rappresentare la candidata ideale per la sinistra.

Il problema però è che Sleepy Joe ha solo abbandonato la corsa alla rielezione, non si è dimesso dalla Casa Bianca. Per tre mesi abbondanti, più il periodo di interregno post elettorale, il presidente sarà ancora lui. Questo significa che alla guida della macchina più ricca e potente del mondo ci sarà un rimbambito tutt’altro che domo, incattivito con il mondo che non lo vuole più, con i media che ha sempre osteggiato, con il suo partito e con la stessa Harris, di cui pure ha appoggiato la candidatura, ma che in lei non ha mai creduto.

Giornali e tv li ha evitati fino all’ultimo, dando la notizia ufficiale del suo abbandono alla corsa sui social, e non attraverso un discorso ufficiale dallo studio ovale che avrebbe avuto come diretti interlocutori i cittadini americani e come mezzo la tv. Nemmeno ha tenuto una conferenza stampa. Isolato nella sua torre d’avorio deve aver avuto anche non poche difficoltà a indicare Kamala come possibile contendente del suo trono vacante. Certo, se l’è scelta lui 4 anni fa come vice, ma gli faceva gioco in chiave elettorale rappresentando tutto ciò che lui non è, partendo dalle evidenze sessuali e razziali.

 

 

 

NESSUNA STIMA

Tra i due in realtà non c’è mai stata sintonia e Biden non ha mai creduto nelle sue capacità. Anzi, pare proprio, secondo Axios, che il presidente abbia esitato così tanto ad abbandonare la partita perché ancora non crede che Kamala possa battere Trump. Senza considerare i dissapori che intercorrono tra la moglie Jill Biden e la stessa vice. Stessi dissapori che intercorrono tra il figlio Hunter e Michelle Obama, amica dell’ex moglie del discusso figlio del presidente, che spiegano anche il motivo per cui, a detta di alcuni media statunitensi, i rapporti tra Biden e Obama non sono più quelli di una volta. Faide familiari e personali che la dicono lunga sulla serietà e la presenza di spirito del presidente fino a prova contraria in carica, i cui poteri sono tanto intatti quanto non lo sono le sue capacità.

Ma soprattutto con quale credibilità Biden in questi tre mesi parlerà a nemici e ad amici, con quale autorevolezza riuscirà ad imporsi, a dire semplicemente la sua, a dare consigli, a fare politica, a ordinare, ad approvare, a minacciare? Ieri ad esempio a Washington è arrivato Benjamin Netanyahu. Immaginatevi lo stato d’animo del premier israeliano che si reca a parlare con il suo principale alleato, con il quale intercorrono noti dissapori ma che sa che quest’ultimo non c’è più con la testa e che tra tre mesi tutto cambierà. Netanyahu si sarà sentito come il nipote che va a trovare il vecchio zio alla casa di cura, con la speranza di non ricevere veniali quanto inutili rimproveri e di tornare a casa con una mancetta.

La profonda preoccupazione di Volodymyr Zelensky è già visibile sul suo volto da parecchi mesi, frequentandolo più di altri l’arguto presidente ucraino si è dato contezza dello stato mentale di Biden prima di molti fedeli funzionari della Casa Bianca. D’altronde si è sentito chiamare per due volte «presidente Putin» e non deve essere stato un piacere. In questi tre mesi Biden sarà finalmente libero da impegni elettorale e potrà perfino dedicargli più tempo, ma per assurdo potrebbe non essere una buona notizia per Zelensky.

 

 

 

DECIDE KAMALA

I repubblicani, il tycoon in testa, chiedono che il presidente lasci la Casa Bianca subito, perché «se non è in grado di candidarsi alla presidenza, non è in grado di servire come presidente» e la cosa non fa una grinza. L’alternativa è il 25° emendamento, già invocato dallo stesso speaker della Camera Johnson che ha chiesto «ai membri del governo di indagare nei loro cuori» e di fare «il loro dovere, così come noi tutti cerchiamo di fare il nostro dovere per fare del nostro meglio per il popolo americano».
Per attivarlo sarebbe sufficiente che vicepresidente e maggioranza del governo trasmettano una lettera al Congresso sostenendo che il presidente non è più in grado di esercitare i poteri e i doveri legati al suo incarico. Una prospettiva complicata dal momento che la vice Kamala è proprio quella che da Biden ha ricevuto la grazia della candidatura alla quale non può rispondere chiedendone l’interdizione. Ma qualora succedesse e il presidente si opponesse, la decisione spetterebbe poi alla Camera che deve esprimersi con una maggioranza dei due terzi dei voti.

Non succederà mai, a meno che le condizioni cliniche non precipitino Biden rimarrà asserragliato con la famiglia alla Casa Bianca, gi verranno evitate quante più comparsate pubbliche possibili e l’America continuerà a essere governata con il pilota automatico, come succede da qualche mese.

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