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Donald Trump? Ecco cosa succede se le élite non ascoltano la gente

Luigi Curini
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Qualche settimana fa Oren Cass, noto economista americano, ha scritto un editoriale sul New York Times quanto mai profetico sul fallimento delle élite negli Stati Uniti. Ma il discorso, mutatis mutandis, vale anche per l’Europa e ahimé per l’intero Occidente. Oren Cass inizia dal 2016, quando Hillary Clinton, come molti ricorderanno, classificò metà dei sostenitori di Donald Trump come «deplorables», mentre il suo pubblico rideva e applaudiva, e 42mila americani morivano di overdose da oppiacei. E parte da lì per ricordare un punto quanto mai banale ma che rimane cruciale: in una democrazia liberale, le urne servono come principale controllo rispetto ad una classe politica incompetente o incapace di rispondere alle esigenze, alle paure e alle speranze dei suoi cittadini. Perché se chi è al potere arriva a pensare- sinceramente o meno, poco importa - di essere la sola opzione legittima possibile, gli elettori possono sempre dimostrargli che non è vero.

Ed è così che agli occhi di una popolazione frustrata e disillusa, un outsider politico anti-establishment che minaccia di creare un disastro, può perfino rappresentare un vantaggio, non un limite. Insomma, l'uomo con le corna diventa una necessità. In un mondo ideale, il successo elettorale di cotanta figura dovrebbe provocare qualche domanda e condurre ad un immediato e radicale cambiamento tra i precedenti leader politici, media, esperti e così via - insomma, in quel variegato insieme di figure che collettivamente possiamo chiamare per l’appunto le élite di un Paese. La risposta al successo di Trump è stata invece esattamente l’opposta.

 

 

Vedendolo eletto, e affrontando addirittura l’incubo che lui possa ri-vincere ancora 4 anni dopo essere stato sconfitto, le élite invece di farsi un (serio) esame di coscienza, hanno raddoppiato il loro sforzo di non modificare nulla nel loro modo di agire e di percepire il mondo là fuori. Invece di realizzare che avessero in qualche modo fallito, ecco la risposta auto-assolutaria: sono infatti gli elettori a finire sul banco degli imputati. Elettori perennemente insoddisfatti, che non apprezzano quello che hanno, e che si dimostrano incapaci di sviluppare dei ragionamenti informati (sono “analfabeti funzionali” dopotutto), ed ergo facilmente manipolabili da demagoghi e dalla propaganda straniera, in particolare, e ovviamente, russa. O forse, sono semplicemente cattivi, razzisti e sicuramente un po’ fascisti.

E questo indipendentemente dal fatto che l’uomo con le corna in realtà attragga sempre più simpatie dalle minoranze etniche. Perché anche le minoranze possono sbagliare. E di fronte a sondaggi che vedono Trump sempre più avanti, che si fa? Ci si arrocca sempre più, si dichiara come la stessa democrazia sia in pericolo se l’esito non è quello che vogliono loro, anche se questa stessa élite per difendere la democrazia si avventura in strategie sulle quali qualche purista vecchio stampo avrebbe anche qualche cosa da ridire. Tipo non riconoscere i problemi di salute mentale di un presidente, bollare per mesi, se non anni, come “propaganda MAGA” qualunque perplessità a riguardo, fargli fare delle primarie eliminando sistematicamente ogni possibile contentende serio (vedi alla voce Robert F. Kennedy Jr.), fargliele vincere e poi, dopo un dibattito televisivo disastroso, e soprattutto dopo che i sondaggi lo mostrano indietro, sbarazzarsene, costringendolo a furia di minacce dei donatori e improvvisi articoli al vetriolo sulla stampa un tempo amica, salvo poi celebrarlo come un vero eroe americano quando si ritira. Senza vergogna.

Senza problemi. E senza farsi alcuna domanda sulla coerenza di tutto questo. Anche perché se tu ritieni il tuo avversario un pericolo, financo un nemico in senso schmitiano, tutto diventa ammesso. E legittimo. Ma qua la politica scompare. E rimane solo la guerra tribale. Un dettaglio che sfugge ai più, specie a chi si riempie la bocca di “democrazia”. E così ci si ritrova da un lato con delle élite che rimangono pienamente devote alle loro preferenze, impegnate a muovere le leve del potere a loro esclusivo vantaggio, applaudendo solo l’offerta politica che preserva lo status-quo che tanto apprezzano. E non solo negli Stati Uniti. Basti sentire il discorso di Ursula von der Leyen di fronte al parlamento europeo, dove si portano avanti politiche che sono state ampiamente sconfessate dall’elettorato (green-deal su tutte), ancora una volta come se nulla fosse.

A contrapporsi a queste élite chi rimane allora? I cittadini. Che non sono “deplorables”, ma forse un po’ hillbilly sì. Che rifiutano con coraggiosa (od incosciente?) ostinazione le preferenze tanto amate dalle élite, spesso, è vero, incapaci di contrapporne organicamente alcunché, ma che si aggrappano, come naufraghi disperati ad un battello che sta affondando, all’ultima risorsa che ancora hanno a disposizione. Il voto. Perché potrebbe sembrare perfino strano ad alcuni, ma è (ancora) la democrazia bellezza!

 

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