Non potendo mettere il burqa alla regina, hanno decapitato tutti i pezzi, bianchi e neri. La scimitarra ideologica dei talebani afghani, come la falce manzoniana, ha azzerato persino il gioco degli scacchi, espellendolo dalla società come tutte le “diavolerie” che sfuggono al loro controllo, accusato di essere vizioso, d’azzardo e contro l’Islam. Da non credere, ma tutto quello che è incredibile all’improvviso entra sempre nella concezione teologica degli estremisti più retrogradi di questo pianeta. L’unico gioco dominato dall’intelligenza, che ha messo al bando la fortuna e la casualità, è entrato nel mirino dei barbudos di Kabul e i 32 pezzi sono stati fatti saltare in aria con tutta la scacchiera.
Neanche Padre Jorge da Burgos – l’ex bibliotecario del Nome della rosa di Umberto Eco che voleva impedire a suon di omicidi la lettura del secondo libro della Poetica di Aristotele – pur privo della vista, era così accecato dall’odio e dalla stupidità come i talebani, che sono riusciti nell’impresa impossibile di mettere all’indice una delle più alte manifestazioni della creatività umana, lungo un cammino formativo e intellettivo di oltre quindici secoli.
La nascita degli scacchi è avvolta dalla leggenda, e come tutte le leggende le varianti non mancano. Li avrebbe inventati nel VI secolo il mago di corte Sissa Nassir, su richiesta del re di Persia che voleva da lui un gioco bello e che non potesse annoiarlo mai. Detto fatto. Il re strabiliò. Disse allora a Sissa che avrebbe potuto chiedergli come ricompensa qualunque cosa. Questi saggiamente avanzò una pretesa che appariva ridicola: un chicco di riso per la prima delle 64 caselle, due per la seconda, quattro per la terza, sedici per la quarta e così via fino all’ultima. Risero tutti di questa ricompensa, rispetto a oro, gioielli, danaro e ricchezze. Ma quando iniziarono a fare i conti pensando di sbrigarsela con un sacchetto, il riso (in tutti sensi) divenne amaro: tutta la produzione del mondo conosciuto non sarebbe bastata a soddisfare il dovuto, il cui valore superava abbondantemente quello di tutto il regno. A quel punto la fine della storia diverge: secondo una versione, sentendosi ingannato e per salvare la faccia, il re fece giustiziare il mago; secondo un’altra, sempre per impedire che la beffa fosse risaputa, lo condannò a rimanere sempre a corte e a insegnare gli scacchi a tutti, affinché potesse misurarsi con chiunque. Considerata la diffusione universale del gioco (probabilmente nato in India e solo successivamente radicato in Persia ed esportato dagli arabi), forse la versione meno cruenta, se non è vicina alla realtà, in qualche modo la spiega.
Gli scacchi sono molto più di un gioco. Oltre che uno svago, rappresentano uno straordinario strumento di crescita e di sviluppo intellettuale, sono uno sport con federazioni nazionali e internazionale, le cui sfide hanno fatto epoca come durante la guerra fredda tra l’americano Bobby Fischer e il sovietico Boris Spasskij. Esistono scuole di grande e riconosciuta tradizione e si stima che tre abitanti su quattro dell’intero pianeta terra abbiano giocato almeno una volta nella vita con re, regine, alfieri, cavalli, torri e pedoni. I praticanti censiti sono oltre 600 milioni, tra professionisti e dilettanti.
Nell’epoca dell’intelligenza artificiale i talebani hanno deciso di mettere al bando quella naturale di uomini e donne che si sfidano dai due lati della scacchiera. Forse perché una partita è quanto di più democratico esista: puoi disputarla ovunque, di giorno e di notte, al chiuso e all’aperto, le sue regole sono sempre le stesse dal XV secolo, ti puoi misurare con chiunque guardandolo negli occhi o lungo le insondabili vie del web, puoi studiare i grandi match con la stessa attenzione con la quale si possono studiare le mosse e le manovre di una grande battaglia del passato per cogliere le intuizioni e i lampi di genio di Giulio Cesare e di Napoleone. Il condottiero romano lanciava sì i dadi ma non poteva giocare a scacchi, mentre l’imperatore dei francesi amava talmente tanto quelle strategie incruente da aver dato il suo nome a un’apertura. I talebani, adesso, danno invece il nome a una chiusura. Soprattutto quella mentale, ma questo non purtroppo è un gioco.