Sudan in fiamme: chi ha sparato il primo colpo nella devastante guerra civile?

mercoledì 14 maggio 2025
Sudan in fiamme: chi ha sparato il primo colpo nella devastante guerra civile?
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“Sono passati due anni dall’inizio della guerra in Sudan tra l’esercito regolare, guidato da Abdel Fattah al-Burhan, e le Forze di Supporto Rapido, comandate da Mohamed Hamdan Dagalo, detto «Hemedti».

Questo conflitto, tuttora in corso, ha devastato il Paese: oltre 9 milioni di persone sono state sfollate all’interno del territorio, mentre 3,8 milioni di rifugiati sono fuggiti nei Paesi vicini, secondo i rapporti delle Nazioni Unite. In totale, quasi 13 milioni di persone sono state costrette a fuggire dalla violenza negli ultimi due anni, in quella che l’ONU definisce ormai la «peggiore crisi umanitaria al mondo».

Le atrocità proseguono quotidianamente: omicidi, fame, violazioni dei diritti umani e spostamenti di massa, sia all’interno che oltre i confini nazionali. In assenza di mezzi di sussistenza, molti sudanesi ricorrono a vie d’esilio estremamente pericolose. Secondo Olga Sarrado, portavoce dell’Alto Commissariato ONU per i Rifugiati (UNHCR), 484 cittadini sudanesi sono arrivati in Europa nei mesi di gennaio e febbraio 2025, con un aumento del 38% rispetto allo stesso periodo del 2024. Ha inoltre riferito che 937 persone sono state soccorse o intercettate nel Mar Mediterraneo e rimandate in Libia – una cifra più che raddoppiata rispetto all’anno precedente.

Sarrado ha avvertito che il crollo degli aiuti umanitari e la prosecuzione delle ostilità porteranno inevitabilmente a un aumento considerevole del numero di persone che tenteranno di attraversare il Mediterraneo, una delle rotte migratorie più pericolose al mondo. L’Organizzazione Internazionale per le Migrazioni ha già registrato un numero record di morti lungo questa rotta nel 2024, mentre molti migranti hanno perso la vita nel tentativo di raggiungere l’Europa.

Dall’inizio del conflitto, nell’aprile 2023, l’origine esatta delle ostilità è oggetto di forti polemiche. Tuttavia, un alto ufficiale dell’esercito sudanese, il colonnello Mustafa Mohamed Othman, ha pubblicato un video sui social in cui afferma che fu proprio l’esercito ad aprire il fuoco per primo, annunciando nel contempo le sue dimissioni dalla guerra. Ha denunciato un conflitto inutile per il popolo sudanese, messo – secondo lui – al servizio di agende specifiche miranti alla presa del potere.

Il colonnello ha precisato che l’unità militare che diede inizio ai combattimenti apparteneva alla prima brigata di fanteria nella regione di Al-Baqir, facente capo alla prima divisione militare. Quest’unità avrebbe lanciato un attacco contro un campo delle Forze di Supporto Rapido situato nella zona sportiva di Khartoum. Ha aggiunto che lui e i suoi colleghi ufficiali ignoravano chi avesse dato l’ordine dell’attacco, sostenendo che l’esercito fosse stato strumentalizzato da elementi islamisti nostalgici del regime di Omar al-Bashir, intenzionati a tornare al potere.

Racconti simili provenienti da responsabili politici, che all’epoca cercavano di mediare tra le due fazioni per evitare l’escalation, confermano questa versione. Raccontano che, nella mattina presto di sabato 15 aprile 2023, forze militari dell’esercito si siano avvicinate alle posizioni delle Forze di Supporto Rapido nelle zone della “Città sportiva” e di “Soba”, accerchiandole e bombardandole con artiglieria pesante.
Secondo alcuni osservatori, la corrente islamista, infiltrata nell’esercito, nei servizi di sicurezza e nelle istituzioni statali, attendeva il momento giusto per rovesciare l’ordine rivoluzionario instaurato. Il principale ostacolo al loro progetto erano proprio le Forze di Supporto Rapido, rimaste indipendenti. L’obiettivo era quindi neutralizzarle rapidamente con un’offensiva lampo. Ma la guerra si è protratta, smentendo le loro previsioni.

Secondo l’esperto in diritti umani e gestione delle crisi Abdel Nasser Salim, l’accordo quadro firmato nel dicembre 2022, che apriva la strada a un passaggio di potere verso civili provenienti dalle Forze della Libertà e del Cambiamento, è stato percepito come una minaccia esistenziale dagli islamisti e dai sostenitori del vecchio regime. Questi hanno fatto di tutto per sabotarlo, alimentando le tensioni tra il generale Burhan e Hemedti fino alla rottura militare.

Dall’inizio della guerra, i Fratelli Musulmani sono emersi come attori centrali del conflitto, con milizie che combattono al fianco dell’esercito. Numerose e gravi violazioni contro i civili sono state denunciate, e alcune organizzazioni locali e internazionali parlano già di crimini di guerra.

Sulla questione del primo colpo, il giornalista sudanese Mohannad Bakri scriveva lo scorso ottobre che la risposta arrivava “da una delle due fazioni in guerra: la banda dei Fratelli Musulmani in Sudan”. Citava la comparsa pubblica di Ibrahim Mahmoud, ex presidente del disciolto Partito del Congresso Nazionale, tra la folla a Port Sudan, come indizio che rafforzava l’idea di un ruolo diretto della fazione islamista nell’avvio del conflitto, trascinando con sé la gerarchia militare in una guerra che non controllava del tutto.

L’analista politico Ammar Suleiman ha dichiarato al giornale Al-Ghad Al-Soudani che la corrente islamista esercita un’influenza politica ed economica significativa sull’esercito e sulle istituzioni ad esso collegate, rendendo difficile separare gli atti militari dai loro obiettivi ideologici. Secondo lui, «l’attuale guerra è un tentativo di cancellare le conquiste della rivoluzione», demonizzando le forze civili e rivoluzionarie, accusandole di sostenere uno dei due fronti, e giustificandone così l’eliminazione fisica o politica.

Ha aggiunto: «Per diciotto mesi, le fiamme di questa guerra hanno consumato tutto: vite umane, beni, speranze, stabilità… in una spirale di morte, fame, povertà e umiliazione». A suo avviso, il ritorno del regime caduto è il vero obiettivo di questa guerra, in cambio di false promesse di sicurezza e stabilità. L’idea era di coinvolgere direttamente i cittadini nel conflitto, così da facilitare la liquidazione della rivoluzione. Ma l’evoluzione del conflitto ha finito per smascherare i veri istigatori, che hanno cercato di ricostruire le vecchie milizie sotto nuovi nomi, come la «Katiba Al-Baraa», per imporre il proprio progetto.

Nell’ottobre 2021, l’esercito ha condotto un colpo di Stato contro il governo civile guidato da Abdallah Hamdok, suscitando un’ondata di indignazione popolare e condanne internazionali. Nel dicembre 2022, la firma di un accordo quadro aveva riacceso la speranza di una via d’uscita dalla crisi. Ma, secondo diversi osservatori, i Fratelli Musulmani, temendo le conseguenze di quell’accordo, sarebbero riusciti a convincere il generale Burhan a non impegnarsi, provocando così lo scoppio della guerra nell’aprile 2023.

A questo proposito, il generale in pensione Moatassim Al-Ajab, membro dell’Associazione degli ex combattenti sudanesi, ha dichiarato: «Occorre sapere che tre forze politiche erano ostili all’accordo quadro: i sostenitori del regime caduto e i loro alleati, come la cosiddetta coalizione del Blocco Democratico che riuniva ex partner di Bashir e gruppi armati timorosi di perdere il potere; alcuni partiti radicali che chiedevano un cambiamento totale come il Partito Comunista o i Baathisti; e infine alcune potenze regionali ostili a un governo civile in Sudan».

Ha concluso affermando che gli islamisti, in particolare i sostenitori di Bashir, erano gli unici ad avere interesse a sabotare l’accordo e che quindi hanno preparato questa guerra in coordinamento con ufficiali dell’esercito a loro fedeli.”

É quanto sostiene in un’analisi Pierluigi Sabatini, Presidente di Geocrazia ed esperto di geopolitica.