Corrispondente di Radio Radicale da Ankara, Mariano Giustino è una delle fonti italiane più informate su notizie dal Medio Oriente, ma poco fa era stato addirittura cancellato da Meta. «Mi hanno riammesso dopo cinque giorni di espulsione, con la disabilitazione degli account di Facebook e Instagram per una motivazione fumosa e sibillina. Ogni volta che tentavo di accedervi compariva una scritta che recitava: “il tuo account e la relativa attività non rispettano i nostri standard della community”. L’attività che dicevano di avere controllato consiste nelle mie corrispondenze che vanno in onda ogni mattina su Radio Radicale, e negli articoli che pubblico su diversi quotidiani italiani, documentando quotidianamente senza veline o censure quello che accade in Turchia, in Iran e in Medio Oriente. Nell’ultimo post pubblicato prima della mia espulsione avevo denunciato la fake news diffusa da Hamas a Gaza nel circuito mediatico internazionale, secondo la quale Israele avrebbe aperto il fuoco contro la popolazione civile in un sito di distribuzione di aiuti umanitari. Quella notizia era stata smentita da tutti i media internazionali, compresi quelli che avevano contribuito a diffonderla la velina pubblicata su al Jazeera. Ma molti media soprattutto italiani la facevano girare come se fosse una notizia vera. A quel punto, si è scatenato contro di me un putiferio Pro Pal sui social, che ha portato a quella misura. Ma ho risposto mobilitando a mia volta i miei 12.000 follower, che sono riusciti a farmi riabilitare. Peraltro, già nel 2020 ero stato bandito da Facebook, perché avevo documentato le pratiche repressive contro l’opposizione in atto nella Turchia di Erdogan. Allora la sospensione era durata per ben due mesi».
Ma andiamo a quello che sta succedendo adesso. L’attacco di Israele all’Iran sta rafforzando o no il regime della Repubblica Islamica?
«La repubblica islamica non è mai stata così impopolare, specie tra le nuove generazioni. Rcordiamo che il 70% degli iraniani ha meno di 30 anni. Anche in questi giorni la popolazione non protesta per nulla contro Israele. Al contrario, vede l’attacco alla Repubblica Islamica di buon occhio, e quando sono stati uccisi almeno sette capi dei Pasdaran la gente ha festeggiato nelle proprie abitazioni, ha preparato dolci, si è messa a ballare. Alcune persone sono uscite per le strade a gridare “morte a Khamenei!”, “morte al dittatore!”, “via la Repubblica Islamica dall’Iran”, “Via gli ayatollah!”. E sono grida che, mentre cadono i missili sugli obiettivi militari e nucleari, continuano a risuonare tutte le notti dai tetti dei palazzi e dalle finestre».
L’attacco Israeliano è così popolare?
«Ovviamente il popolo non voleva queste bombe, ma ne dà la colpa al regime. Israele, poi, sta bombardando solo i siti del complesso militare industriale. Ma il regime si comporta in maniera cinica. Non avverte i civili dell’arrivo dei missili, non ci sono sirene di allarme, non ci sono rifugi e bunker. La gente è costretta in casa, perché se esce rischia di essere fermata ai posti di blocco dei Pasdaran e dei Basij, che controllano i cellulari per verificare che non abbiano inviato messaggi o immagini sulla Rete, che peraltro è stata pure sospesa. Qualcuno ha cercato di fuggire da Teheran per mettersi al riparo, magari sul Mar Caspio o nelle zone desertiche. Ma il regime lo ha impedito con barriere che hanno creato ingorghi pazzeschi».
Un modo di fare che ricorda quello di Hamas a Gaza?
«Il regime utilizza la gente come scudi umani, per poter accusare Israele di avere ucciso civili. Il regime teme nuove rivolte come quella dopo la morte di Mahsa Amini, e per questo sta intensificando la repressione. In queste ore assistiamo ad arresti di oppositori e ad impiccagioni di condannati a morte. Ho notato che sui media italiani queste cose non vengono sottolineate».
Israele sta dunque vincendo?
«Il regime è stato colto sostanzialmente di sorpresa. L’attacco è stato fulmineo, ha accecato i sistemi di difesa ed ha distrutto almeno il 50% delle rampe di lancio. La capacità di reazione dell’Iran è visibilmente diminuita, passando dai 200 missili lanciati contro Israele nei primi due giorni ad appena qualche unità attuali».
È credibile lo scenario di un golpe dei Pasdaran contro Khamenei?
«Sono in realtà possibili vari scenari. Teniamo presente che Khamenei è già una figura molto contestata all'interno del regime, dal momento che si è già scatenata la lotta perla successione. Lui vorrebbe imporre suo figlio Mojitaba, che però è inviso a gran parte del regime e del clero. Anche ai Pasdaran, che come sappiamo sono un variegato apparato economico, commerciale, militare e politico che controlla tutti i gangli vitali del Paese, dalla polizia all'intelligence. Anche al loro interno ci sono frange. Alcuni sostengono la Guida Suprema; altri vorrebbero rimpiazzarlo con un regime militare sul modello pakistano, altri vorrebbero eliminare la figura per superare il modello della Repubblica Islamica, e magari sostenere il ritorno del principe Ciro Reza Pahlevi».
Addirittura ci sono Pasdaran che vorrebbero il ritorno dello Scià?
«Una parte di loro sicuramente sì, e credo che siano in corso trattative del genere. Qualcosa si sta muovendo anche a livello di opposizione che si sta organizzando per prepararsi al cambio di regime. Non ci illudiamo che tutto possa ritornare come prima: ormai è tardi. Khamenei è fuori gioco. Cercava di ottenere il massimo dall’accordo, non ci è riuscito, ma secondo l’ideologia khomeinista l’Iran non può rinunciare alla bomba atomica e al suo programma nucleare, per raggiungere il suo obiettivo primario della distruzione dello Stato di Israele. Che non chiamano neanche così, ma “Entità Sionista”. Secondo loro è un corpo estraneo a un Medio Oriente che dovrà essere dominato dall’Islam sciita. Anzi, l’Islam sciita dovrà dominare il mondo, in attesa dell’arrivo del Salvatore, il Mahdi».
Le opposizioni in esilio più note sono i Mojahedin del Popolo Iraniano e i sostenitori dello Scià.
«Gli oppositori democratici in patria stanno soprattutto in galera. La diaspora più importante è quella monarchica. I Mojhaedin si sono resi un po’ invisi a molti, ma nella transizione potrebbero riprendersi. Teniamo comunque presente che stiamo parlando del Paese sicuramente più sviluppato del Medio Oriente, quello più ricco di risorse sotto tutti gli aspetti. Risorse umane, di potenzialità economica, ha un tessuto sociale molto sviluppato. Non stiamo parlando di un Paese povero e, culturalmente limitato, stiamo parlando di una società già pronta, e molto simile a quella europea».