La bolla progressista globale ha continuamente bisogno di miti, cavalieri della virtù per un giorno, santini da spacciare al mercatino delle anime belle. In questo pantheon autoreferenziale in perenne aggiornamento, ha scalato precipitosamente posizioni il premier spagnolo Pedro Sanchez. Che ha avuto senza dubbio il fiuto di intuire la scorciatoia più agevole: qualificarsi come l’anti-Trump, l’eroe della civilizzazione europea contro il Puzzone d’Oltreoceano. Ecco allora il socialista caritatevole che si oppone all’aumento delle spese Nato in nome delle spesa sociale, o meglio iper-assistenziale. Una furbata in bilico sulla fake news, visto che la Spagna sarà comunque vincolata al raggiungimento di obiettivi militari e costantemente monitorata, ma intanto Sanchez può fregiarsi del titolo di “scroccone” in capo del contribuente americano (copyright Barack Obama, cari sinistri, Trump si è limitato a copia&incollare). In queste ore il premier spagnolo si autocelebra anche per la decisione della Corte Costituzionale che ha avallato l’amnistia nei confronti dei secessionisti catalani.
Approvata un anno fa dal Parlamento, la legge era stata oggetto di esplicita contrattazione politica per dare vita al governo Sanchez III, che si regge anche sull’appoggio esterno del partito indipendentista Junts per Catalunya. Il nostro ha commentato la sentenza del Tribunal Constitucional ostentando nobili principi: «Un magnifica notizia per la coesistenza e la convivenza». Ma ha ricevuto le bordate più impietose da un nume tutelare del socialismo iberico come Felipe Gonzalez (capo del governo ininterrottamente dal 1982 al 1986, il più longevo dalla caduta del franchismo). Questa «auto-amnistia» è «un atto di corruzione politica», ha tuonato il vecchio compañero, rincarando la dose: «Non avranno il mio appoggio in nessun modo, nessuno di coloro che ha partecipato a questa autentica assurdità contro lo Stato di Diritto.
Questo lo devono sapere anche gli elettori del Psoe». Insomma, l’eroe di cartapesta Sanchez è sotto tiro anzitutto dentro la sua casa politico-culturale. Uno che invece sta collezionando sostegni a catena, in una vera e propria corsa all’accreditamento ultra-radicale della sinistra americana, è Zohran Mamdani, vincitore a sorpresa delle primarie del Partito Democratico perla candidatura a sindaco di New York. Musulmano sciita, fanatico del boicottaggio anti-israeliano, socialista dichiarato nella terra delle opportunità, Mamdani pare un bigino del non-senso Woke: l’agenda antiamericana e antioccidentale trapiantata nel cuore d’America e d’Occidente. Eppure, i leader(ini) dem sgomitano per salire sul suo carro. Il leader della minoranza al Senato Chuck Schumer (peraltro di origine ebraica, siamo all’apoteosi di quella che Sir Roger Scruton chiamava “oicofobia”, vergogna e odio di sé) si precipita a postare: «Mamdani ha condotto una campagna impressionante». Anche il suo collega alla Camera Hakeem Jeffries ha tessuto le lodi del vincitore alla Msnbc, mentre la storica senatrice dello Stato di New York Kirsten Gillibrand (un’era fa democratica “moderata”) ha chiesto entusiasta un incontro con Mamdani. Siamo all’estremizzazione finale del partito dell’Asinello: ormai anche Alexandria Ocasio-Cortez, storica starlette del progressismo by Grande Mela che propone l’endorsement di Trump perché si è azzardato a incenerire i siti nucleari degli ayatollah, pare scavalcata quanto a islamo-gauchismo.
Tornando al di qua dell’Atlantico, c’è da segnalare il tentativo di leadership costantemente abortito di Keir Starmer. Salutato con goffo eccesso di zelo come il nuovo Blair, il premier britannico fluttua atavicamente a metà del guado, irrimediabilmente sospeso tra la percezione di sé come riformatore e il responso frustante della realtà. Nel Partito Laburista sta dilagando la rivolta contro la sua strombazzatissima riforma del Welfare, che tra l’alto prevede tagli alla sanità e ai benefici sociali per i lavoratori in malattia, con l’obiettivo di risparmiare 5 miliardi di sterline fino al 2030. Il parallelo annuncio, ancor più trionfalistico, sulla volontà di acquistare 12 bombardieri F-35 in grado di trasportare anche testate atomiche tattiche, ha mandato in cortocircuito la sinistra britannica. Un emendamento concepito ad hoc per affossare il dimagrimento del Welfare è stato già firmato da oltre 130 deputati Labour, più che sufficienti per mandare sotto Starmer alla Camera dei Comuni. Tanto che lui ha dismesso subito il piglio pseudo-churchilliano, balbettando genericamente che «nella sostanza la riforma andrà avanti», ma assicurando che in ogni caso non si tratterà di un “voto di sfiducia” al suo gabinetto. Insomma, ha battuto affannosamente in ritirata.
In questo quadro pazzotico, perfino un’europeista liberale come l’Alto Rappresentante per gli Affari Esteri Kaja Kallas si fa travolgere dalla narrazione dominante, e pare essersi tramutata in una versione estone e femminile di Josep Borrell. Dopo aver presentato un rapporto sulle violazioni dei diritti umani da parte di Israele a Gaza e in Cisgiordania (non c’è refuso, ha scritto proprio di Israele, non di Hamas), pare che proporrà misure effettive contro lo Stato ebraico in vista del prossimo Consiglio Ue. Forse, aspira anche lei a un posticino nel crepuscolo degli idoli mainstream, prima che sia troppo tardi. Vanità delle vanità, e masochismo politico.