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Stragi in Congo, l'Europa pensa a inviare i suoi soldati

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Ecco perché il Paese è in guerra

Albina Perri
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L'Europa potrebbe andare in Africa per tentare di mettere pace in Congo. Lo ha proposto oggi la Gran Bretagna, per bocca del suo ministro degli Esteri, David Miliband, appena tornato da una missione nel Paese sconvolto dai combattimenti tra l'esercito e i ribelli guidati dal generale tutsi Laurent Nkunda. «Non abbiamo escluso niente, è possibile», ha chiarito il capo della diplomazia di Londra, parlando con la Bbc a proposito di un eventuale invio di militari da affiancare ai 17mila caschi blu delle Nazioni Unite che finora hanno assistito impotenti agli scontri concentrati a Goma, nel nord Kivu. Per comprendere meglio l'intricata e poco conosciuta vicenda del Paese, vi proponiamo il testo pubblicato sul blog Africana del padre comboniano Giulio Albanese. Nord Kivu: “Ci sono cose che solo gli occhi che hanno pianto possono vedere…” di Padre Giulio Albanese* su Africana, blog.vita.it In questi giorni ho riflettuto a lungo sul drammatico scenario del Nord Kivu e devo dire che ho sperimentato un forte sconforto di fronte all'escalation di violenze in quelle terre dove la povera gente è ridotta allo stremo. D'altronde, è triste doverlo ammettere, ma la conflittualità nel settore orientale della Repubblica Democratica del Congo (ex Zaire) non s'è mai placata nel corso degli ultimi dodici anni. Da quando infatti, nell'ottobre del 1996 scoppiò la prima guerra congolese con l'obiettivo di rovesciare l'allora dittatore Mobutu Sese Seko - nonostante gli accordi di pace siglati ripetutamente tra le parti, le svariate iniziative negoziali messe a punto dalla diplomazia internazionale, brevi scampoli di relativa tranquillità, le elezioni generali del 2006 e il dispendioso invio di una missione di pace sotto l'egida dell'Onu (Monuc) – numerose bande armate hanno continuato a seminare morte e distruzione con la complicità di poteri più o meno occulti. In questo contesto geografico, nel cuore della Regione dei Grandi Laghi, sembrava finalmente che la situazione si fosse definitivamente sbloccata lo scorso 23 gennaio quando era stato siglato uno storico accordo nella città di Goma (capoluogo del Nord Kivu) tra il governo di Kinshasa e le varie formazioni armate, prima fra tutte un'orda di miliziani al soldo del potente “signore della guerra” Laurent Nkunda (alias Laurent Nkundabatware chiamato anche Laurent Nkunda Batware), raggruppati nel Congresso nazionale per la Difesa del Popolo (Cndp), un gruppo congolese d'estrazione banyamulenge, imparentato all'etnia tutsi presente sia in Rwanda che in Burundi. Comunque, a detta degli analisti più lungimiranti, dopo la firma di Goma alcune incognite rimanevano, non foss'altro perché Nkunda in passato aveva più volte sconfessato le trattative di pace con il governo congolese. A ciò si aggiunga il fatto che fuori dall'accordo del gennaio scorso rimanevano i ribelli ruandesi, d'etnia hutu, inquadrati nelle Forze Democratiche per la Liberazione del Rwanda (Fdlr), nemici giurati di Nkunda e spina nel fianco dei rapporti tra Kinshasa e Kigali, il cui governo ha sempre accusato quello congolese di sostenere e armare gli insorti, parte dei quali responsabili del genocidio ruandese del 1994. Sta di fatto che le truppe congolesi, affiancate dai reparti della Monuc, non sono mai riuscite ad aver ragione dei ribelli ruandesi, stimati attorno alle 6mila unità, così come non hanno mai sconfitto gli uomini di Nkunda, appoggiato militarmente e finanziariamente dal governo di Kigali. In un clima a dir poco volatile, siamo così giunti alla tragica cronaca di questi giorni che vede i miliziani del Cndp posizionati strategicamente nelle zone attorno a Goma, cingendola praticamente d'assedio. E questi agguerriti combattenti, che già nel passato si sono macchiati di crimini orrendi – anche se non sono stati gli unici responsabili delle nefandezze perpetrate in questi anni nell'Est dell'ex Zaire - potrebbero da un momento all'altro, senza problemi, entrare nella città congolese, mettendola a ferro e fuoco, non appena il contesto internazionale lo consentisse con l'appoggio politico e militare del vicino Rwanda. Una situazione di rischio estremo, come ha dichiarato il  ministro degli esteri francese Bernard Kouchner il quale ha evocato “il rischio di nuovi estesi massacri” in una terra già duramente provata dalle violenze nel passato.  È in questo contesto che s'inserisce il contributo che l'Unione Europea pare intenda offrire inviando un contingente di “peace-keeping”, una sorta di forza d'interposizione, capace di garantire l'incolumità della stremata popolazione civile. Dietro le quinte comunque vi sono solo marginalmente rivalità etniche, mentre la “vexata et tormentata quaestio” è legata innanzitutto e soprattutto al controllo delle immense risorse minerarie del Kivu settentrionale e meridionale, come anche di altre province limitrofe congolesi. Basti pensare al coltan (in Italiano rutilio) lega naturale columbio e tantalio. Il columbio, detto anche niobio, viene utilizzato per assemblare componenti della tecnologia spaziale avendo la caratteristica di raggiungere la fusione a temperature elevatissime, mentre in lega col titanio risulta essere tra i migliori superconduttori al mondo. Il tantalio viene invece utilizzato nella realizzazione della componentistica interna di molti gadget della telefonia mobile (ad esempio i cellulari) o in quella dei videogiochi (play-station). Dal punto di vista geopolitico in tutte queste vicende, un ruolo centrale è ricoperto dal vicino Rwanda che, dall'avvento al potere del presidente Paul Kagame, anella al pieno controllo dei territori disseminati sul versante orientale dell'ex Zaire. Non è un caso se la maggioranza degli analisti concorda nel sostenere che finché non sarà data al piccolo Paese delle Mille Colline - densamente popolato e militarmente agguerrito - la possibilità di usufruire, almeno in parte, delle sconfinate ricchezze del gigante congolese - veri e propri tesori di poco oltre un confine geograficamente inesistente - l'intera Regione dei Grandi Laghi continuerà ad essere una polveriera in cui gli interessi stranieri costituiranno un fattore altamente destabilizzante.  Già nella seconda guerra congolese, quella esplosa il 2 agosto del 1998 e durata 5 anni, persero la vita oltre 4 milioni di persone e dal 2003 il computo complessivo dei morti potrebbe aver toccato i 5 milioni stando a fonti umanitarie. Sarebbe pertanto ora che la comunità internazionale uscisse allo scoperto denunciando ed impedendo i soprusi perpetrati contro l'inerme popolazione civile.  Il clamoroso fiasco della già citata Monuc composta da 17mila caschi blu dispiegati sul campo per volere esplicito del palazzo di Vetro, non solo indica il fallimento della più imponente e costosa missione di pace nella storia dell'Onu, ma è soprattutto sintomatico della mancanza di volontà politica nel sostenere il processo di riconciliazione, mettendo a freno la bramosia di potentati stranieri che si contendo le ricchezze del sottosuolo congolese. L'unica soluzione, per ora accantonata per gli interessi di parte, sarebbe quella di includere gli uomini di Nkunda e i ribelli delle Fdlr in un unico trattato di pace, una scelta, detto con tutta franchezza, più facile a dirsi che a farsi. Non v'è dubbio comunque che in questo inferno di dolore, dove Lucifero è annidato nel cuore di chiunque acconsenta ad un simile degrado della condizione umana, a pagare il prezzo più alto è la stremata popolazione civile. Un dato che comunque non andrebbe trascurato in tutto il ragionamento fin qui esposto, riguarda la condotta delle truppe di Nkunda. Benché i suoi uomini abbiano commesso ogni tipo di estorsione e di crimine contro le popolazioni congolesi sia nel Nord che nel Sud Kivu, questo signore non è mai stato perseguito, malgrado il mandato di arresto emesso contro di lui dal governo congolese. Al contrario, invece è riuscito ad instaurare tutti i segni visibili di quella che potrebbe essere definita una vera e propria “balcanizzazione”, particolarmente evidente nelle zone di Masisi e Rutchuru: dogane, posti di controllo, bandiera del Cndp, oltre alle innumerevoli vessazioni perpetrate nei confronti dei civili congolesi. Nelle zone controllate dai suoi uomini, tanto per fare un esempio, le tasse sono prelevate a suo nome ed enormi guadagni gli provengono dal commercio illegale delle risorse minerarie. Nonostante le sue efferatezze, le popolazioni autoctone sperano ancora in un intervento deciso della comunità internazionale. In questo contesto, è certamente encomiabile il ruolo della società civile congolese, Chiesa Cattolica in primis, che rimane l'unica voce davvero libera in grado di dare conforto a tanta umanità dolente. Lungi da ogni retorica, la memoria del compianto arcivescovo congolese, Christophe Munzihirwa, ucciso dai militari ruandesi a Bukavu (capoluogo del Sud Kivu) nell'ottobre del 1996, rappresenta un indubbio motivo di speranza guardando al futuro. Egli soleva ripetere che “ci sono cose che solo gli occhi che hanno pianto possono vedere”.  D'altronde, le parole da sole non potranno mai bastare per descrivere una realtà, ancora oggi così drammaticamente lontana dai media internazionali. *Padre Giulio Albanese è nato a Roma il 12 marzo del 1959 e appartiene alla Congregazione dei Missionari Comboniani. Ha diretto il “New People Media Centre” di Nairobi e fondato la “Missionary Service News Agency” (Misna). Attualmente collabora con varie testate giornalistiche per i temi legati all'Africa e al Sud del mondo tra cui Avvenire, Vita e il Giornale Radio Rai. Dal febbraio del 2007 insegna "giornalismo missionario/giornalismo alternativo" presso la Pontificia Università Gregoriana (Pug) di Roma ed è direttore delle riviste missionarie delle Pontificie Opere Missionarie (PP.OO.MM. Italia). È anche autore di alcuni libri tra cui “Hic sunt leones” (Ed. Paoline 2006), “Soldatini di Piombo” (Feltrinelli, Milano 2005), “Il Mondo Capovolto” (Einaudi, Torino 2003) e “Ibrahim, Amico Mio” (Emi, Bologna 1997)

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