Alla scuola Yamazoto di Nagasaki il 9 agosto per ricordare i novecento alunni morti nell’esplosione atomica si canta questa melodia: «Sappiamo che non vedremo più il loro volto, eppure torniamo qui e guardiamo ogni sera al cancello. Ma tutto è rosso porpora per un tramonto di fuoco...». Il canto è tratto da una poesia del dottor Takashi Nagai (1908-1951), lo scienziato mistico che introdusse la moderna radiologia in Giappone e che dopo la bomba incoraggiò la ricostruzione nazionale e infuse l’ottimismo della speranza al suo popolo. Nagai, malato di leucemia, abitava nella capanna Nyokodo (oggi luogo di pellegrinaggio) che il dottore aveva chiesto fosse costruita sul modello della capanna del tè del nobile cristiano Takayama che lì pregava e tornava ad essere “come un bambino”.
Fu la lettura di Pascal e l’incontro con la futura moglie Midori a indurre Nagai, laico progressista, a convertirsi al cristianesimo. Ma nella sua biografia oltre alla fede cattolica troviamo moltissimo di quell’etica dei samurai che innervava di sé il Giappone. Quando nel 1949 il governo giapponese volle onorarlo per il contributo dato con i suoi scritti a risollevare il morale della nazione annientata dalla guerra, socialisti e comunisti si adoperarono per diffamare lo scienziato asserendo che non era lui l’autore dei suoi libri (da uno dei quali fu tratto il film Le campane di Nagasaki, raccomandato in tutte le scuole del Giappone). Nagai era a sua volta convintamente avverso al comunismo, ideologia estranea allo spirito giapponese. Un comitato si occupò di verificare le accuse contro di lui e giunse alla conclusione che fosse doveroso onorare il dottore come eroe nazionale. Dal 1934 al 1937 Nagai aveva fatto radiografie per più di otto ore al giorno, dal 1940 al 1945 aveva fatto funzionare un nuovo reparto ospedaliero perla diagnosi della tubercolosi mediante radiografie che eseguiva da solo. La sua leucemia si aggravò dopo le radiazioni della bomba atomica, che aveva ucciso l’amata sposa Midori.
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L’aveva preannunciato il vicecapo del consiglio di sicurezza nazionale, Dimitri Medvedev, osservando che, dopo gli...Nagai, benché ferito gravemente alla testa, dopo l’esplosione diresse le operazioni di sgombero dell’ospedale e quando il panico e lo scoramento si stavano impadronendo ormai dei sopravvissuti che, sbandati e feriti non sapevano come reagire all’orrore di tutti quei corpi bruciati, in quell’inferno fumante di rottami, ordinò che venisse trovata una bandiera giapponese. E poiché l’impresa appariva impossibile, Nagai ricavò un quadrato bianco da un lenzuolo e tirò via dalla testa il suo bendaggio intriso di sangue, lo strizzò al centro della tela disegnando un cerchio rosso ed ecco che quella bandiera divenne il simbolo che «ripristinò l’ordine in quello sfacelo». Insieme al suo discepolo Yamada, Nagai volle dissotterrare la campana della cattedrale (ricostruita nel quartiere cattolico di Nagasaki, Urakami): messisi al lavoro, riuscirono a far suonare la campana la sera del 24 dicembre, il primo Natale dopo la bomba. Un episodio che fu di gran conforto per i sopravvissuti. Nagai fu un pacifista sui generis: diffidava degli arrabbiati, di chi era pacifista per motivi ideologici. C’era enorme bisogno di movimenti per la pace «ma – avvertiva - devono essere composti da gente il cui cuore è in pace».
L’ultimo periodo della sua esistenza lo trascorse supino, perché la milza si era troppo ingrossata a causa della leucemia. L’imperatore volle fargli visita e si interessò ai suoi scritti e al suo stato di salute facendo commuovere Nagai mentre i figli assistevano al colloquio paralizzati dall’emozione. Insieme a sua moglie Midori, Nagai fu dichiarato servo di Dio dalla chiesa cattolica. Chi ne legge le pagine non può fare a meno di accostarlo alla santa letizia di Francesco d’Assisi per il suo affidarsi a Dio anche nella sventura più nera e per il suo costante desiderio di celebrare la bellezza della Creazione. Così scriveva un mese prima della sua morte: «Dobbiamo crearci un cuore che sia capace di essere insieme serio e lieto! Dobbiamo scavare sotto la superficie delle cose, cercare la bellezza nascosta che è dappertutto e scoprire la gloria del creato che è introno a noi. Allora ogni giorno diventerà una poesia».