Rasputin, il monaco nero tra storia, leggende e ossessioni

Esce in Italia lo storico thriller di William Le Queux su uno dei personaggi più discussi e complessi dell’ultima Russia zarista
di Claudia Gualdanadomenica 24 agosto 2025
Rasputin, il monaco nero tra storia, leggende e ossessioni

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Partiamo con qualche ovvietà: la Russia è un paese immenso, una fiera eurasiatica che si stende dai geli del nord alle repubbliche al confine con l’Afghanistan, dagli Urali all’Europa, di nuovo dagli Urali fino al Pacifico, dalle notti bianche al deserto dei Gobi. Ed è un mistero, perché vi accadono cose impensabili altrove. Per esempio, la lunga barba di Rasputin la si è ritrovata sul mento dello scienziato più pazzo del mondo, tale Sergej Ravitskij, che qualche anno fa in Antartide ha accoltellato il collega perché gli spoilerava i romanzi.

Una storia assurda che difficilmente si sarebbe verificata in Germania o in Italia. Anche per questa tendenza a precipitare negli abissi della coscienza, che è un po’ la cifra della sua cultura, la Russia è un rebus per noi. Se a ciò si aggiunge che ogni tanto il ceo di qualche partecipata precipita misteriosamente dai piani alti e che spesso gli oppositori politici finiscono male, non c’è da stupirsi se ci va di mezzo un grandissimo direttore d’orchestra come Gergiev, respinto con sdegno come se fosse una spia del regime putiniano.

La Commissione europea ha gioco facile a tirare in ballo complotti russi ogni qual volta si trovi a un passo dalla sfiducia, perché la Russia è appunto il paese di Rasputin, uno che solo a guardarlo negli occhi viene il capogiro. A vedere le sue foto lo si direbbe un lupo siberiano, e del resto di lì veniva, umile figlio di contadini destinato a diventare la guida spirituale e il confidente dell’ultima zarina di Russia, Aleksandra, assassinata dai leninisti nel 1918 con il marito e i figli.

A quel tempo Rasputin era già morto, ma non fu tanto semplice ucciderlo. Per capire un personaggio come lui è meglio iniziare dalla fine, epilogo purtroppo non analizzato come ci si sarebbe aspettati da un romanzo di William Le Queux, giornalista e scrittore di spy stories anglo-francese che fu suo contemporaneo ed ebbe modo di essere console a San Marino, e tuttavia non risultano traduzioni italiane dei suoi libri.

Sicuramente, non di Il ministro del male. La storia segreta di Rasputin (Lorenzo de Medici Press, p.238, €18), libro in cui ci si perde, perché il confine tra realtà e finzione è molto labile e forte è l’impostazione anglo-francese, che nel ministro occulto dello zar vedeva il peggior oppositore all’alleanza con la Russia e una spia al soldo dei tedeschi. Una tesi mai avvalorata da prove, così come non risulta che il monaco sensibile ai richiami della carne – beveva e andava a donne – si fosse arricchito grazie ai suoi poteri preternaturali.

Certo, la sua religione era un misto di sincretismo cristiano, tutto fuorché apprezzato in patria, in cui la frequentazione del peccato era l’unica via per arrivare alla redenzione. Una strada comoda per godere i piaceri della vita, ma non certo un reato. Vero è che Rasputin, molto ascoltato a corte, era un sostenitore del potere assoluto dello zar e non voleva che la Russia entrasse in guerra, diceva che i Balcani non valevano tutto quello spargimento di sangue. Aveva ragione: fu la prima guerra mondiale a scatenare la rivoluzione di ottobre e la fine dei Romanov.

Ma la sua morte sfida le leggi della biologia. Il monaco fu vittima di un’imboscata a casa del conte Feliks Jusupov, parente dello zar, dove fu attirato con la scusa di una cena in cui ci sarebbero state belle donne, ma dove trovò invece laute dosi di cianuro. Mangiò un’infinità di dolcetti alle mandorle innaffiati di veleno, ghiotto di dolci com’era, tuttavia continuò a ballare e a divertirsi come se nulla fosse. I congiurati, sgomenti, dovettero sparargli ben più di un colpo, ma non c’era modo di abbatterlo. Lo presero a bastonate nel giardino della bella villa di San Pietroburgo dove si svolsero i fatti, e qui trovò la morte solo in seguito a un colpo sparato in un occhio.

Trovò indegna sepoltura nelle acque ghiacciate del fiume Neva – era il 30 dicembre 1916 – di dove fu ripescato poco tempo dopo, per scoprire che nel suo cadavere non c’era traccia di veleno, né di acqua nei polmoni. Se non era un mistero quest’uomo, nessun altro lo è stato. Molti russi volevano la sua morte perché egli esercitava un potere eccessivo sul debole zar Nicola II e sull’imperatrice perché il mistico, noto per i poteri di taumaturgo, a quanto pare era l’unico in grado di mitigare i problemi di salute del delfino, Aleksej, malato di emofilia e talvolta preda di attacchi epilettici. Poco importa che molti avvalorino la tesi secondo cui il nostro sarebbe stato un impostore e un ciarlatano, per Queux «uno dei furfanti più lungimiranti e venali», cui riconosce comunque un istinto infallibile, resta invariato il mistero del contadino che era riuscito a influenzare la politica dello zar di tutte le Russie.

Ma il treno della storia era già partito, Rasputin e i Romanov erano destinati a scendere in malo modo alla prima fermata. Ma quello sguardo ipnotico è passato alla storia molto più dei bei volti aristocratici dello zar e della sua incantevole famiglia.