Un solo colpo, preciso. Andato a bersaglio. Una esecuzione compiuta da un cecchino esperto che, neanche a spiegarlo, non aveva granché in simpatia Charlie Kirk, amico del presidente Trump, supporter e influencer del pensiero Maga, movimento che essendo maggioranza nel Paese non è una filiale del Ku Klux Klan o una setta segreta. Eppure se sei trumpiano e predichi quelle cose lì, in fondo te la vai a cercare. In Italia, il più esplicito di tutti è stato il professor Piergiorgio Odifreddi che su La7 ha affermato che «sparare a Martin Luther King o a un rappresentante Maga non è la stessa cosa. L’uno predicava la pace, l’altro l’odio». Lo ha detto piatto com’è solito fare in una strana addizione dove incolonna posizioni assolute e tira una somma strana: le vittime non devono essere tutte uguali. È vero che in studio lo hanno criticato ma il tema di fondo resta aperto: la tollerabilità delle idee. Se l’è cercata, quel diavolo di Kirk, perché le sue tesi politiche sono il Male, sono ciò che va eliminato. E siccome non si riesce a farlo sul piano dialettico e politico allora si spera che lo faccia qualcun altro con modi più radicali.
Stiamo freschi, però, se le idee più lontane da noi, quelle per cui potremmo anche vomitare nel sentirle, possono essere azzittite con un killeraggio. Ma questo è accaduto, questo è il fatto. E la corsa ad anestetizzare il fatto è grave quanto fare il palo al killer. Perché, a poche ore dal tragico evento, l’uccisione del cosiddetto influencer Maga (anche qui si usa una espressione - influencer- al fine di svilire il ruolo politico di Kirk, uomo per cui il vicepresidente Vance presta il corpo nel trasportare la bara) viene definita nella versione statunitense di Wikipedia come “shooting” cioé sparatoria e non “killing”? A casa mia, un colpo che parte e finisce a bersaglio si chiama esecuzione o meglio ancora come omicidio, termine (killing appunto) usato per l’uccisione della rifugiata ucraina Iryna Zarutska a Charlotte nel North Carolina.
Non c’è stata alcuna sparatoria a Orem perché è bastato un solo colpo per freddare Kirk. La comunicazione o meglio la narrazione è fondamentale per inquadrare i fatti. E l’operazione che si sta facendo su questo ragazzo con idee radicali ma pienamente nel perimetro democratico, dalla posizione sull’aborto a quella sulle armi, è sintomatica della piega politica che il mondo antitrumpiano vuole rappresentare. Su Repubblica lo scrittore Safran Foer parla di “una guerra civile in corso” e di una responsabilità in capo al presidente Trump di “coltivare la violenza”. A casa mia, sempre restando ai fatti, la violenza colpì l’attuale presidente quando era in corsa per la Casa Bianca: solo la fortuna lo protesse da un proiettile, fortuna che invece non è toccata in sorte a Charles Kirk per il quale il colpo di fucile è stato fatale. Eva altresì fatta notare la “matrice ideologica” manifestata sui proiettili in canna e sull’arma di chi lo ha ucciso, una matrice che nulla ha a che vedere con le predicazioni Maga. Sul Corriere il premio Pulitzer Perrival Everett addossa a Trump la colpa di “cavalcare la tragedia”: “La destra americana continuerà a sfruttare apertamente, senza vergogna, la terribile morte di Charlie Kirk. E trasformare in atto politico un omicidio”. Il sottinteso è: non parlatene, fate dimenticare. Ma questo è stato un omicidio politico, Kirk è stato ammazzato per farlo tacere. Una esecuzione. E secondo i dem Trump dovrebbe far scomparire il fatto... Quando morì George Floyd per colpa di un agente della polizia nessuno chiese di silenziare la cosa, anzi partì una campagna contro gran parte della polizia americana e del razzismo in essa latente. In tutto il mondo dilagò il motto “Black Lives Matter”, per non far dimenticare. Stavolta Kirk va fatto sparire in fretta e con lui le sue idee. In fondo se l’è cercata, no?