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Emmanuel Macron è alla canna del gas (di Mosca)

La Francia è il principale importatore europeo di Gnl, che rivende anche a Berlino Von der Leyen annuncia le nuove sanzioni allo Zar: "È ora di chiudere il rubinetto"
di Costanza Cavallisabato 20 settembre 2025
Emmanuel Macron è alla canna del gas (di Mosca)

(Ansa)

3' di lettura

L'indole bonapartista ancora si aggira per la Francia: il presidente Emmanuel Macron, galvanizzato dalla sua potenza nucleare, non ha perso un attimo quando si è trattato di arrivare alla testa di una coalizione di Volenterosi che, a mo' di diligenza ma senza beneficio di armamenti, dovrebbe seguirlo in contro Vladimir Putin. Colui che fu il “Mozart della finanza”, però, non solo non ha fatto i conti con gli alleati europei, ma nemmeno – ea giudicare dalle condizioni in cui versano le finanze domestiche non stupisce – con le sue tasche. Secondo l'agenzia di stampa russa Ria Novosti, infatti, che cita dati di Eurostat, otto paesi dell'Unione europea quest'anno hanno acquistato gas naturale liquefatto (Gnl) dalla Russia per 5,1 miliardi di euro. L'import di Gnl russo, cioè, nel primo semestre 2025, ha superato di oltre un quarto l'import dello stesso periodo del 2024.

Prima di puntare il dito contro i soliti sospetti (vedi Ungheria e Slovacchia), la medaglia d'oro degli acquirenti, grazie ai suoi cinque rigassificatori, spetta proprio alla Francia che, da gennaio a luglio, ha sborsato 2,1 miliardi di euro in gas russo. Parte del combustibile approda al terminale di Dunkerque e viene poi esportato in Germania. Berlino, inoltre, riceve carburante moscovita anche dal secondo importatore europeo, il Belgio, fermo a 1,3 miliardi di import. Seguono, al terzo posto, la Spagna, con una spesa di 950 milioni, e al quarto l'Olanda, che ha effettuato acquisti per 678 milioni.  Poi, secondo un portavoce della Commissione Ue, che smentisce i dati dell'agenzia russa, si sarebbero Portogallo, Grecia, Slovacchia e Ungheria. Sono dovuti arrivare le pressioni del presidente americano Donald Trump affinché l'Ue si decida a vietare, con un anno di anticipo rispetto a quanto previsto, ovvero entro il 1° gennaio del 2027 invece che del 2028, le importazioni del gas di Putin.

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Sarà tutto nel 19esimo pacchetto di sanzioni: «I ricavi derivanti dai combustibili fossili sostengono l'economia di guerra di Putin. Vogliamo ridurre queste entrate – ha detto ieri la presidente della Commissione europea Ursula von der Leyen, improvvisamente avvedutasi della contraddizione perpetrata da parte del Vecchio continente dall’aggressione di Kiev in avanti – per questo stiamo vietando le importazioni di Gnl russo. È ora di chiudere il rubinetto». Alla nuova “politica del tubo”, si aggiungerebbero uso sanzioni contro la “flotta ombra” russa di petroliere, il settore delle criptovalute, le banche russe e dell'Asia centrale, le raffinerie cinesi e zone economiche speciali, una scappatoia doganale utilizzata da Mosca per importare beni a duplice, civile e militare, destinati all'industria bellica.  «Le principali società di commercio energetico Rosneft e Gazprom Neft saranno soggette a un divieto totale di transazioni e altre aziende saranno sottoposte al congelamento dei beni. Stiamo colpendo coloro che alimentano la guerra acquistando petrolio in violazione delle sanzioni.

Prendiamo di mira raffinerie, commercianti di petrolio e aziende petrolchimiche in paesi terzi, inclusa la Cina», ha approfondito il leader della Commissione nel chiedere ai 27 Paesi membri di approvare rapidamente le nuove sanzioni.  Ed è qui che ci sarà l'intoppo: la proposta richiede l'approvazione unanime dei governi europei. E se Budapest e Bratislava avevano esplicitamente bloccato i precedenti pacchetti prima di raggiungere un compromesso, più subdoli sono stati i governi di Parigi e Bruxelles, che hanno sempre sostenuto di aver bisogno di rassicurazioni sulle conseguenze economiche e legali della decisione (la francese TotalEnergies, per esempio, è vincolata da un contratto con Novatek, il secondo più grande produttore di gas naturale russo, fino al 2032 e raggiunge una partecipazione del 20% nel progetto Yamal, che gestisce un impianto di Gnl in Siberia). Il problema minore, ha assicurato Washington, coprirà eventuali carenze: le forniture statunitensi sono disponibili.

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