All’asse Parigi-Berlino non bastava mica il sorrisetto complice e l’ammiccamento tra il presidente Nicolas Sarkozy e la cancelliera Angela Merkel su Silvio Berlusconi, autentica caduta di stile e palese interferenza su un Paese terzo. Macché. Ecco confezionata la versione riveduta e scorretta con l’intesa cordiale tra il presidente Emmanuel Macron e il cancelliere Friedrich Merz che stavolta si rivolgono a Volodymyr Zelensky evocando lo spettro del tradimento americano dell’Ucraina. Der Spiegel ha fatto esplodere l’unica bomba che non sia stata chiesta da Kiev ma che le è scoppiata tra le mani nel momento peggiore, sul campo minato che porta a un problematico cessate il fuoco. L’Eliseo smentisce il contenuto di quella telefonata, Berlino fa spallucce imbarazzate e non conferma. Macron, che davanti allo specchio si vede come Napoleone I, stavolta avrebbe dovuto ricordare Napoleone III. Questi, sfuggitagli di mano la questione italiana, nonostante il ruolo di protettore della Chiesa disse ai piemontesi che stavano invadendo lo Stato pontificio: «Faites, mais faites vite!». Fate, ma fate presto: dovrebbe essere il mantra per far cessare la guerra russo-ucraina lungo i binari contorti che uniscono le stazioni del Piano Trump, saltandone qualcuna più scabrosa delle altre ma passando necessariamente dal Cremlino. Ed ecco invece che la coppia franco-tedesca mette in allerta Zelensky, che non è proprio al massimo della lucidità considerate le decisioni che deve prendere (o ha già preso e non può ancora comunicare), sulla possibilità che gli Usa all’ultimo momento potrebbero abbandonare l’Ucraina al suo destino.
Le comparse cercano un ruolo da protagonisti sul palcoscenico della politica internazionale: «Stanno giocando con voi e con noi». Il topolino ucraino si ritrova così tra il gatto fulvo americano e quello calvo russo che si lecca i baffi, ma mentre l’ex comico deve temere militarmente il nemico Putin, la coppia Macron-Merz è terrorizzata dall’iperattivismo diplomatico di Trump e degli Stati Uniti, in nome proprio e delle proprie nazioni più che dell’Europa che sbandierano come una foglia di fico. Il francese è quello che voleva mandare gli europei in guerra e dell’invenzione dei volonterosi, la scatola vuota infiocchettata con le belle intenzioni, e dei 100 jet Rafale venduti a Kiev che saranno inutili appena la situazione si normalizza; il tedesco è quello del riarmo della Germania, che qualcosa nella storia ha pur significato, perché passare dalla locomotiva al panzer da quelle parti ci vuole davvero poco. Ma Macron, da perfetto personaggio in cerca d’autore, più kafkiano che pirandelliano, è andato oltre: in Cina ha esortato Xi Jinping a lavorare insieme per una pace giusta e duratura in Ucraina.
Emmanuel Macron, ecco come si è sottomesso alla Cina
Per la quarta volta da quando è presidente della Repubblica francese ieri Emmanuel Macron si è recato in C...Bene, magari cominciando a non sabotare l’unica proposta sull’asse Washington-Mosca-Kiev in nome della grandeur personale. Il presidente ha ricordato a Pechino che i loro due Paesi sono membri permanenti del Consiglio di sicurezza dell’Onu e quindi devono fare il possibile per raggiungere un giusto compromesso, rispettare il diritto internazionale e trovare un riassetto stabile con i negoziati. Ma non ha detto come. Lo scriveva Dostoevskij nell’Ottocento che la strada dell’inferno è lastricata di buone intenzioni: il povero Zelensky deve percorrere proprio quella strada dove l’americano gli ha detto da tempo che non ha carte da giocare, il francese gli instilla l’idea del tradimento e il tedesco lo mette in guardia dall’imboscata a stelle e strisce. Senza offrire un’alternativa che l’Europa non è stata in grado di elaborare, e che Parigi e Berlino non hanno né sul tavolo né come assi nella manica.




