Un silenzio assordante. È quello della comunità internazionale, Onu e Unione europea, sugli attacchi del 25 dicembre condotti dagli Stati Uniti contro l’Isis nel nord-ovest della Nigeria, nello Stato di Sokoto. Un silenzio non solo imbarazzante, ma rivelatore di un’ipocrisia profonda, di una cecità ideologica che dimostra come, per una certa élite occidentale, esistano vittime di serie A e vittime di serie B, i cristiani.
È stato un «attacco potente e letale contro elementi dell’Isis nella Nigeria nordoccidentale che hanno preso di mira e ucciso brutalmente, soprattutto, cristiani innocenti», ha annunciato sul suo social network, Truth, il presidente americano Donald Trump. «Sotto la mia guida, il nostro Paese non permetterà al terrorismo islamico radicale di prosperare.
Che Dio benedica il nostro esercito e BUON NATALE a tutti, compresi i terroristi morti, che saranno molti di più se il loro massacro di cristiani continuerà», ha aggiunto l’inquilino della Casa Bianca. Che non ha mai avuto paura di chiamare il problema con il suo nome: terrorismo islamico. Una definizione che, per ideologia e politicamente corretto, sembra diventata impronunciabile in Europa.
Meglio parlare di “instabilità”, di “conflitti locali”, di “tensioni intercomunitarie”, tutto pur di non riconoscere che in Nigeria è in corso una vera e propria campagna di violenza jihadista, con una chiara matrice ideologica e religiosa.
L’inquilino della Casa Bianca, con il suo approccio diretto e senza infingimenti alla lotta contro il terrorismo islamico, ha riportato l’attenzione su un fronte che l’Occidente ha preferito ignorare negli ultimi anni: la Nigeria, che è oggi il Paese più pericoloso al mondo per i cristiani. Dal 2009, ne sono stati assassinati oltre 50.000 e solo in un attacco a una chiesa cattolica, avvenuto lo scorso giugno, i morti sono stati più di 2.000. Rapporti indipendenti, organizzazioni umanitarie e missionari sul campo testimoniano di villaggi assaltati, chiese incendiate, sacerdoti rapiti o uccisi, famiglie massacrate da Boko Haram, dall’Isis in Africa Occidentale e da milizie jihadiste che operano nell’indifferenza totale.
Ma su questi massacri c’è un silenzio profondo, soprattutto da parte dell’Europa e delle sinistre occidentali, sempre pronte a mobilitarsi per ogni causa, a partire da quella palestinese per odio anti-Israele, tranne quando la persecuzione colpisce i cristiani. L’attacco di Natale contro le milizie dell’Isis in Nigeria, rivendicato politicamente dall’area trumpiana come parte di una strategia di contrasto senza ambiguità al terrorismo, avrebbe dovuto suscitare reazioni, prese di posizione, sostegno. Invece nulla. Nessuna mobilitazione europea, nessuna voce indignata dei grandi organismi internazionali, nessuna attenzione mediatica paragonabile ad altri scenari di crisi. Come se la Nigeria non esistesse. O, peggio, come se le sue vittime non contassero.
Nigeria, attacco Usa contro l'Isis. Trump: "Massacravano cristiani, li avevo avvertiti"
"Stasera, su mia indicazione in qualità di Comandante in Capo, gli Stati Uniti hanno sferrato un attacco pot...In estate Vicky Hartzler, da giugno presidente dell’Us Commission on International Religious Freedom (Uscirf), organismo bipartisan incaricato di monitorare e promuovere il rispetto della libertà religiosa nel mondo, aveva chiesto al Dipartimento di Stato americano di designare la Nigeria come “Paese di particolare preoccupazione” e di fare pressione sul suo governo affinché proteggesse meglio i cittadini e perseguisse i responsabili di crimini contro la religione. Il 25 dicembre è arrivata la risposta di Trump, un’operazione condotta in cooperazione con «l’intelligence nigeriana», «pianificata da tempo» e che potrebbe essere la prima di una serie, ha detto ieri il ministro degli Esteri della Nigeria Yusuf Tuggar. Quando gli Stati Uniti colpiscono gruppi terroristici in Medio Oriente sotto amministrazioni democratiche partono gli applausi, quando invece l’azione è condotta dall’“arcinemico” Trump cala il silenzio più totale. È il solito doppio standard dell’élite occidentale progressista.




