Come a un amico che deve sostenere l’ultimo esame prima della tesi, il leader polacco Donald Tusk ieri ha augurato «Buona fortuna» a Volodymyr Zelensky con un post su X. E che il presidente ucraino, di fortuna, ne avesse un disperato bisogno, è sicuro. Poco prima di accoglierlo nella sua casa di Mar-a-Lago, infatti, Donald Trump era stato al telefono con Vladimir Putin per un’ora e rotti. No a un cessate il fuoco temporaneo, si son detti, sì a una «decisione coraggiosa» sul Donbass e alla creazione di due gruppi di lavoro per arrivare alla pace. Se non un tentativo di sabotaggio dei colloqui, la telefonata non era non un ottimo auspicio: anche lo scorso ottobre i due leader ebbero una conversazione ventiquattr’ore prima dell’arrivo di Zelensky alla Casa Bianca.
Trump il giorno seguente gettò via dal tavolo le mappe della linea del fronte portate dall’ucraino (comunque ambrosia rispetto ai disastrosi colloqui nello Studio Ovale di febbraio).
I protagonisti si rivelano in fretta: nel breve incontro con la stampa prima di sedersi nella sala da pranzo principale della villa, un giornalista ha chiesto a Zelensky se avrebbe accettato di fare concessioni territoriali. «La questione dei confini è uno dei punti da discutere durante l’incontro», è la risposta, tanto giudiziosa quanto inconsistente, e infatti immediatamente presa a calci da Trump. «Ci sono grandi vantaggi economici per l’Ucraina perché, come sapete, c’è molto da ricostruire (si parla di 800 miliardi di dollari di aiuti per il dopoguerra e di un accordo di libero scambio con gli Stati Uniti molto favorevole a Kiev, ndr)», ha corretto il tycoon. La prudenza non va d’accordo con gli affari. I territori, però, sono uno dei due temi cruciali del summit, insieme con le garanzie di sicurezza che gli Stati Uniti sono pronti a fornire. Trump ha liquidato la domanda di un giornalista sulle garanzie di sicurezza definendola «stupida». Ha poi aggiunto: «Ci sarà un accordo sulla sicurezza. Sarà un accordo forte».
Delle due questioni però, una è difficile per Zelenskyy e l'altra sembra esserlo per il presidente Trump. Washington non sembra disposta a fornire a Kiev garanzie di sicurezza di lunga data: stando al nuovo documento sulla Strategia di sicurezza nazionale americana, l’Europa è in definitiva un problema dell’Europa. Il leader ucraino, d’altro canto, vorrebbe invece lo scudo degli alleati in stile articolo 5 della Nato (un attacco a uno stato membro equivale cioè a un attacco a tutti) per scoraggiare qualsiasi futura aggressione russa e che il suo Paese possa mantenere le forze armate all’attuale livello di 800mila uomini. Chiede, infine, una data precisa per l’adesione all’Unione europea, forse addirittura nel 2027.
Per quanto riguarda i confini, Zelensky non sembra disposto a cedere porzioni regioni per le quali l’Ucraina sta ancora combattendo. Fare concessioni non equivale cioè a firmare una pace a qualsiasi costo, soprattutto a fronte di una guerra di logoramento lunga quattro anni e di un’opinione pubblica che si oppone alla cessione territoriale. Secondo la sua proposta, infatti, i combattimenti nel Donetsk (che Mosca controlla al 75%) e nel Luhansk (quasi totalmente in mano russa) verrebbero congelati sull’attuale linea del fronte. Dopodiché le forze ucraine e russe si ritirerebbero per creare una zona cuscinetto neutrale e demilitarizzata, supervisionata dalle forze internazionali.
I leader europei (il primo ministro britannico, Starmer, ha fatto una telefonata a Zelensky prima dell’incontro, a causa di «impegni in agenda», ha fatto sapere Downing Street) sono stati coinvolti nell’incontro con una videochiamata. È dal continente infatti che saranno assicurati gli accordi di sicurezza: le nazioni europee sono «molto coinvolte», ha assicurato Trump, «Ritengo che siano stati davvero fantastici e siano molto in linea con questo incontro e con la conclusione di un accordo. Sono tutti persone straordinarie». Tocca stare a guardare Mosca: o Putin è davvero «molto serio sulla pace», come si è detto certo ieri l’inquilino della Casa Bianca, o, come disse in modo memorabile Carl von Clausewitz, un aggressore è «sempre amante della pace» nella misura in cui preferirebbe invadere senza incontrare opposizione.




