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Pnrr, crollano i diktat europei: così l'Fmi si schiera al fianco dell'Italia

Sandro Iacometti
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 La buona notizia arriva dal ministero degli Affari europei. I tecnici della task force Pnrr della Commissione europea, secondo quanto fatto trapelare da Raffaele Fitto, hanno riscontrato un «avanzamento oggettivo su tutte le linee» dei target e milestone da raggiungere per l'ottenimento della terza rata del Pnrr. Anche sulla quarta rata l'Italia potrà «rendicontare nei tempi». Ma quella importante, che rompe un tabù che sembrava finora inviolabile, arriva dal Fondo monetario internazionale. A differenza di quanto ci raccontava ieri Repubblica, con un’intervista al direttore europeo dell’Fmi Kammer che invita l’Italia a dare «piena e tempestiva attuazione al piano», nel documento conclusivo della missione 2023 del Fondo sull’eurozona si legge che «le riforme dovrebbero essere attuate come previsto, anche se potrebbe essere necessaria una maggiore flessibilità sulla tempistica degli investimenti se i Paesi hanno vincoli sulla loro capacità di utilizzare i fondi». Insomma, la data del 2026 non è scolpita nella pietra e l’importante è far arrivare il treno in stazione, anche se con un po’ di ritardo.

 


CASTELLO
Una posizione che fa crollare istantaneamente il castello di carta costruito dal gioco di sponda tra opposizioni e Bruxelles secondo cui sforare anche di un solo giorno avrebbe messo a rischio l’intera impalcatura del Recovery. Risolto, in parte, un problema, però, all’orizzonte se ne presenta un altro forse peggiore. Dopo una fase iniziale di preliminari più o meno garbati, infatti, Berlino ha deciso di mettere sul tavolo le sue carte e ieri la Germania si è presentata all’Ecofin di Lussemburgo con i muscoli gonfiati dal documento firmato da 11 Stati (senza però l’Olanda) per chiedere la linea dura contro i sostenitori del debito facile e dell’allentamento delle regole del Patto di stabilità. L’oggetto del contendere sono le sanzioni automatiche per chi sgarra. Chi è fuori dai parametri, è la posizione di Berlino & C., deve ridurre il debito almeno di un punto percentuale l’anno, senza accordi bilaterali o altre cianfrusaglie burocratiche che servono solo a proteggere gli spendaccioni senza attributi.

 


RIVOLTA
Il commissario Paolo Gentiloni e il Fondo monetario hanno insistito ieri sulla necessità di raggiungere al più presto un’intesa sulle nuove regole. Ma i diktat della Germania non aiutano davvero. A capeggiare la rivolta, basata sui presupposti che erano alla base della riforma, ovvero una maggiore flessibilità dei parametri, c’è la vecchia alleata d’Oltralpe, che ora ha pure lei il debito fuori controllo e non se la ride più sotto i baffi. «Abbiamo già cercato in passato di avere regole automatiche e regole uniformi: ha portato alla recessione», ha detto senza giri di parole il ministro delle Finanze francese, Bruno Le Maire, trovando, inutile dirlo, la sponda italiana. Giancarlo Giorgetti ha ribadito che il Patto deve essere sì di stabilità, ma anche di crescita. È dunque importante che «si dedichi adeguata attenzione alla politica di investimenti, in particolare investimenti che sono stati considerati prioritari in sede europea», cioè « quelli relativi alla transizione ambientale, energetica e digitale». In altre parole, il ministro dell’Economia chiede una golden rule, un'eccezione alla regola sulla traiettoria di spesa, chiedendo «considerazione» o un «trattamento particolare» per alcune voci di bilancio. Anche Spagna, Portogallo, Grecia e Malta sono su posizioni analoghe. E da quanto filtra ci sarebbero altri Stati che caldeggiano uno uno scorporo o una considerazione diversa anche degli investimenti nella difesa. La partita, sembra di capire, è appena iniziata. 

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