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Europa, sconfitta la Von der Leyen: così la destra sta vincendo la sfida

Ursula von der Leyen

Fausto Carioti
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Mercoledì la partita vera, nell’aula di Strasburgo, non era l’approvazione della “Legge per il ripristino della natura”, che è andata come si sa, ma un’altra, sotterranea: quella tra Manfred Weber ed Ursula von der Leyen per chi comanda il gruppo dei Popolari, che anche tra un anno, dopo le elezioni, sarà il più importante, come consistenza e peso politico, del parlamento europeo. E l’ha stravinta Weber, il “socio” tedesco di Antonio Tajani. In gioco c’era la cosa che conta più di tutte: il potere di indicare il futuro presidente della Commissione. La von der Leyen, che punta a fare il bis, vede ora le probabilità a suo favore ridotte al lumicino. E Weber si sente in tasca, se non il ruolo di futuro capo dell’esecutivo europeo, quello di incoronatore del presidente che verrà.

Gli schieramenti in campo erano due. Uno era guidato dalla von der Leyen, che appartiene al Ppe e aveva accanto il socialista olandese Frans Timmermans, e dalla propria parte tutti gli europarlamentari di sinistra e centrosinistra. I due avevano raggiunto una faticosa mediazione con gli Stati e proposto la legge oggetto della votazione. Lo schieramento opposto era guidato da Weber, che del Ppe è il capogruppo, e poteva contare sugli eurodeputati di destra e centrodestra.

 

 

Ha vinto il primo per un soffio: 336 favorevoli contro 300 contrari e 13 astenuti. Decisivi gli eletti del Ppe che hanno scelto di schierarsi con la von der Leyen: 21 in tutto. Proprio l’esiguità di questa truppa, però, segnala sconfitta della presidente in carica e la vittoria del suo rivale.

Il Ppe conta infatti 177 eletti, e di questi appena 21 hanno seguito la von der Leyen. Tolti due astenuti, tutti gli altri si sono schierati con Weber, che esce dalla conta potendo dire che sull’argomento cruciale di questo e dei prossimi anni, cioè quanto dovranno sacrificarsi famiglie e imprese in nome dell’ambientalismo, l’87% del Partito popolare è con lui, assieme alla destra e contro la sua connazionale. E questa, in prospettiva, è la cosa più importante: perché nessuno dubita che, qualunque sarà la maggioranza, toccherà ancora al Ppe indicare il presidente della commissione.

LA CARTA ELLENICA - Un ruolo che Weber non è detto che scelga per sé. I nomi in cima all’agenda sua e degli altri dirigenti del partito sono infatti quelli della maltese Roberta Metsola, che oggi presiede il parlamento Ue, e del premier greco Kyriakos Mitsotakis. Ambedue hanno tessuto ottimi rapporti con la Meloni, sapendo l’importanza che avrà nella prossima legislatura (le proiezioni dicono che, dagli attuali 8 europarlamentari, Fdi balzerà a 28).
Mitsotakis, in particolare, guida ad Atene il partito Nuova democrazia, che, pur essendo affiliato al Ppe, ha una matrice conservatrice che lo avvicina a Fratelli d’Italia.

 

 

Anche i rapporti con Identità e democrazia, la famiglia europea dei nazionalisti, alla quale appartengono la Lega di Matteo Salvini, il Rassemblement national di Marine Le Pen e i tedeschi di Alternative für Deutschland, sono assai più complessi di come sono stati raccontati. Perché è vero che né Weber né altri del Ppe intendono allearsi con loro per formare la prossima maggioranza, e questo chiude ogni discorso su uno spostamento a destra ancora più marcato dell’indirizzo politico europeo. Ma ci sono pure le maggioranze di blocco, quelle che si creano di volta in volta per fermare una nomina o una norma sgradita. La presenza di una destra forte fuori dalla maggioranza che guiderà la Ue, insomma, sarà un problema sotto certi aspetti, però consentirà al Ppe, all’occorrenza, di avere qualcuno con cui fare sponda contro accordi come quello che si è visto all’opera mercoledì.

E sul fatto che Identità e democrazia avrà un peso rilevante, non ci sono dubbi. In Germania Alternative für Deutschland sta scalando i sondaggi: conta 9 eletti nel parlamento europeo e se si votasse oggili raddoppierebbe, arrivando a 19. Discorso simile per il partito della Le Pen, che è primo in Francia e dai 18 eurodeputati attuali passerebbe a 22.

Se questo spostamento a destra sarà confermato dalle urne, l’approvazione della Legge per il ripristino della natura si rivelerà una vittoria di Pirro, che il prossimo parlamento cancellerà. Il governo conservatore polacco di Mateusz Morawiecki, alleato della Meloni, si è portato avanti col lavoro: ha presentato ricorso alla Corte di Giustizia europea contro un’altra norma del “Green Deal”, quella che obbliga gli Stati a ridurre rapidamente, e a carissimo prezzo, le emissioni di CO2.

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