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Johansson, la "sarta" Ue vuole le frontiere aperte

Michele Zaccardi
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I controlli ai confini «danneggiano la libertà di circolazione». Mentre si moltiplicano gli attacchi di matrice islamica e sale la psicosi attentati, l’Unione europea pensa bene di stigmatizzare la decisione di nove Paesi membri, tra cui l’Italia, di blindare le proprie frontiere. Evidentemente, l’obiettivo di limitare i rischi, impedendo il transito all’interno dello spazio comune di potenziali terroristi, per gli euroburocrati può passare in secondo piano. E in questo senso le parole della commissaria Ue agli Affari Interni, Ylva Johansson, peraltro di nazionalità svedese come i due tifosi uccisi lunedì scorso a Bruxelles, sono rivelatrici. «Ci sono molte sfide che l’area Schengen deve affrontare» ha detto ieri Johansson, durante la conferenza stampa al termine del Consiglio dei ministri degli Interni a Lussemburgo, «i controlli interni sono una di queste perché, anche se giustificati da gravi problemi di sicurezza, danneggiano la libertà di circolazione. Quindi è ovvio che dobbiamo evitarli».

PRUDENZA
Insomma, il trattato di Schengen, che regola il transito di persone e merci nello spazio europeo, deve restare in piedi. E questo nonostante la vicenda dell’attentatore di Bruxelles, Abdesslem Laswad, sbarcato a Lampedusa anni fa e poi, da lì, libero di muoversi per mezza Europa, consigli maggiore prudenza. E non è nemmeno un caso che, in seguito all’aggravarsi delle tensioni degli ultimi giorni, nove Stati membri abbiano deciso appunto di sospendere il trattato. Opzione peraltro prevista dallo stesso accordo e attivata dall’Italia attraverso una procedura di urgenza, giustificata dalla presenza di una «minaccia grave». Tuttavia, per Johansson (beccata qualche tempo fa a lavorare a maglia mentre la presidente della Commissione pronunciava il discorso sullo Stato dell’Unione), questa è la strada sbagliata.

Al contrario, ha sostenuto la commissaria, occorre rafforzare la cooperazione tra i Paesi Ue. «Abbiamo svolto un lavoro molto completo con gli Stati membri che hanno introdotto controlli alle frontiere interne» ha spiegato Johansson, «ora stiamo preparando un rapporto con le raccomandazioni e i risultati di questo lavoro». La direzione, dunque, appare tracciata: «Vorremmo vedere più cooperazione di polizia, più operazioni congiunte, meno fermi e più azioni mirate». Ma ieri un importante passo in avanti è stato fatto sul “Patto migrazione e asilo”: il Consiglio dei ministri Ue ha infatti adottano il regolamento sulla gestione delle crisi, l’ultimo tassello mancante del pacchetto di misure che da mesi è in discussione ai tavoli europei. Mentre oggi si terrà una riunione straordinaria tra i rappresentanti degli Stati membri per accelerare i rimpatri di soggetti ritenuti una minaccia per la sicurezza.

IL PIANO ITALIANO
Nel frattempo, l’Italia blinda i propri confini orientali. Si tratta infatti del fronte più esposto, dopo la Sicilia, da dove quest’anno sono già entrate 16mila persone. Da sabato, in virtù della sospensione di Schengen, la frontiera con la Slovenia sarà sigillata per dieci giorni, prorogabili fino ad un massimo di due mesi. Per rafforzare i controlli, in Friuli confluiranno nelle prossime ore 350 uomini. Un dispiegamento di forze che vigilerà sui numerosi valichi che si susseguono tra Trieste e Gorizia, per oltre 230 chilometri. Mala stretta voluta dal ministro dell’Interno, Matteo Piantedosi, non si limiterà al confine con la Slovenia.

Anche le altre frontiere terrestri, dalla Francia (in particolare Ventimiglia) all’Austria, passando per la Svizzera, saranno presidiate con maggiore attenzione. Così come saranno intensificati i controlli negli aeroporti, nelle stazioni ferroviarie e nei porti, sia quelli che si affacciano sull’Adriatico sia, soprattutto, Genova, l’unico scalo italiano con numerosi collegamenti diretti con il Nord Africa, in particolare Tunisia e Algeria. Sempre ieri, però, l’Italia è stata condannata dalla Corte europea dei diritti dell’uomo (Cedu) a risarcire tre migranti tunisini, sbarcati illegalmente nel nostro Paese tra il 2017 e il 2019. Secondo la Cedu, i tre immigrati sono stati sottoposti a un trattamento «inumano e degradante» nel centro di accoglienza di Lampedusa.

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