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Ue, l'ideologia-green di rieducazione sociale

Corrado Ocone
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Da qualche settimana sulle nostre tavole c’è una novità: le bottiglie di plastica che fanno da contenitore all’acqua e alle altre bevande che normalmente consumiamo hanno il tappo agganciato in modo che non si stacchi una volta svitato o sollevato. Una piccola complicazione nelle nostre vite a cui ci stiamo adeguando come una sorta di fatalità, fino a farci abitudine. Presto, anzi, ci meraviglieremo se ci capiterà sottomano una bottiglia del vecchio tipo. Ipotesi, in verità, alquanto improbabile perché produrre quelle bottiglie sarà, dal prossimo 3 luglio, semplicemente illegale. Lo stabilisce una Direttiva dell’Unione Europea (la 2019/1904) entrata in vigore nel disinteresse generale.

D’altronde, che cosa volete che importi ad un cittadino qualunque, alle prese con problemi ben più seri, subire una piccola limitazione alla sua libertà di consumare agevolmente una bevanda? Un sacrificio davvero insignificante, sopportabile. Ma, di grazia, vi chiederete: a qual pro? Ovvero, qual è la ratio del provvedimento? Secondo i soloni di Bruxelles che l’hanno concepito si tratterebbe di agevolare in questo modo il riciclo e lo smaltimento della plastica per contribuire al progetto di “transizione ecologica” denominato New Green Deal, che, come è noto, è stato l’asse portante della legislatura europea che (per fortuna) volge al termine. Ma che sia una ratio fittizia è presto detto: i risultati del provvedimento, lungi dal contribuire alla “salvezza del pianeta”, come normalmente si dice senza spregio del ridicolo, saranno del tutto irrilevanti per almeno due motivi.

 

 

Da una parte, infatti, è noto che l’Europa contribuisce solo in piccola parte all’inquinamento globale; e, dall’altra, nello specifico, un tappo agganciato o meno non fa molta differenza, come hanno rilevato gli esperti e molti fra gli stessi politici. In sostanza, per un motivo ideologico, oppure per sbandierare un risultato politico, non si è esitato a restringere la nostra libertà. Nonché quella delle aziende che, in un regime di libero mercato, avrebbero il diritto di produrre a modo loro i prodotti per venire incontro alle esigenze del consumatore. In poche parole, si sono imposte regole astratte, anteponendo un presunto “bene superiore” ai beni concreti e reali che rendono vera e dinamica la nostra vita. È in sostanza la “filosofia” che ispira l’azione dell’Unione Europea, soprattutto della maggioranza politica che la governa, la quale, lungi dall’occuparsi di ciò che interessa veramente i cittadini (cioè l’economia e la sicurezza), preferisce invadere la nostra quotidianità per realizzare fini velleitari con la sperimentata tecnica dell’“ingegneria sociale”.

 

 

È come se la peggiore eredità dei fallimentari socialismi novecenteschi fosse stata ereditata da una parte significativa di quel mondo libero che li sconfisse. Il quale, fra l’altro, a livello di istituzioni europee, soffre di un pericoloso deficit di democrazia, che imporrebbe se non altro di andare cauti con misure impopolari che creano disagio e che non sortiscono effetti rilevanti, ammesso e non concesso che le basi su cui si fondano certe decisioni siano rigorosamente “scientifiche” come vengono presentate. Si dirà: quante storie per un semplice tappo! Ma, a ben riflettere, è evidente che qui in questione è un problema di principio, non di quantità (dopo tutto il sacrificio richiestoci e lo spazio di libertà compressi sono appunto minimi). Il timore è che, una volta aperte le porte, ogni decisione dell’autorità relativa ai nostri comportamenti possa diventare presto possibile e insindacabile. Ammesso e non concesso che ci sia ancora qualcuno che voglia sindacare, cioè mostrare un minimo di reazione. Perché il fatto rilevante, per chi conserva un minimo di sensibilità liberale, è che nessuno ha reagito ad una decisione che, considerata in una certa ottica, potrebbe essere anche vista come un esperimento per altre e ben più sostanziose invasioni nelle nostre vite private.
È come se, poco alla volta, noi si stia perdendo il gusto della libertà per abitudine o assuefazione ad un certo modo di concepire la cosa pubblica. Basti solo pensare che c’è stato anche chi ha elogiato il provvedimento dicendo che esso, pur con tutti i suoi limiti e per quanto limitato negli effetti, manda comunque un segnale ai cittadini, li invoglia ad agire in una certa direzione.  Che è poi il vecchio ideale, duro a morire, dello stato pedagogo o educatore, di quel paternalismo autoritario contro cui si stagliava più di due secoli fa Immanuel Kant invitando gli uomini a ragionare con la propria testa e a rivendicare i propri diritti nei confronti del Potere arbitrario. Un insegnamento vadido oggi più che mai.

 

 

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