Il congresso Ppe di Valencia, iniziato con gli spasimi del blackout dell’elettricità, si è concluso ieri con un punto a favore di Forza Italia: il segretario nazionale Antonio Tajani è stato riconfermato vicepresidente della famiglia popolare europea, aggiungendo un altro tassello temporale nello svolgimento di una carica che ricopre ininterrottamente dal 2002. È risultato, nel team dei dieci vicepresidenti che affiancheranno il leader Manfred Weber (riconfermato anche lui), il secondo più votato con 438 preferenze, dietro al finlandese Orpo ma davanti al tedesco McAllister. Piazzamento non da poco, quindi, a riprova del peso politico che la delegazione azzurra (colonna portante del Ppe in Italia, dove gli altri aderenti sono Noi Popolari e Udc) ricopre nel contesto comunitario.
Oltre al fattore elettivo, c’è anche l’istanza politica di cui Forza Italia si è fatta portatrice, attraverso la risoluzione che Tajani ha depositato ed è stata approvata. Una risoluzione che marca i contorni di uno slancio delle politiche comunitarie in una direzione più vicina al tessuto produttivo, riportando al centro l’importanza di una politica industriale, della deregolamentazione e soprattutto di una discontinuità rispetto a un Green Deal che ha visto le genesi nella scorsa legislatura con un impianto ideologico di impronta socialista. E’ un tema su cui Tajani ha fatto fortemente da apripista nel contesto del Ppe, su cui si riscontrano molte convergenze.
Ue, il green deal? Ci è costato più dei dazi americani
Per carità, i dazi non sono belli. Soprattutto quando non vengono usati per difendersi da dumping o concorrenza s...COMMERCIO
Da segnalare quella dei tedeschi di Cdu-Csu, che saranno tra qualche giorno di nuovo alla guida di un governo foriero di nuove sinergie con l’Italia, soprattutto nell’ambito dell’interscambio commerciale. Anche il prossimo cancelliere Friederich Merz, infatti, è stato molto critico sulle normative ambientali. Tajani, parlando all’assise, ha preso spinta dal Primo Maggio, «un giorno importante per i lavoratori europei. Ma se vogliamo proteggere i posti di lavoro», ha dichiarato ancora il ministro degli Esteri, «se vogliamo più posti di lavoro per le nuove generazioni, dobbiamo cambiare, abbiamo bisogno di una politica industriale forte. Dobbiamo sostenere l’economia reale. Abbiamo bisogno di una nuova stagione dopo il disastro Green Deal».
«Il piano», ha affondato ancora il segretario azzurro, «non è un’azione contro il cambiamento climatico. È un’azione contro l’agricoltura e l’industria. Per questo, dobbiamo cambiare. E il Ppe sarà in prima linea». Parole molto perentorie, che poi si riallacciano agli errori compiuti in sede comunitaria nella scorsa legislatura.
«Vogliamo lottare contro il cambiamento climatico, ma senza una nuova religione, la religione del signor Timmermans e di Greta Thunberg, abbiamo la nostra religione, siamo cristiani». Per cogliere appieno questa presa di posizione così dura, occorre compiere un passo indietro: Frans Timmermans è stato il “padre” del Green Deal, da vicepresidente della commissione nella scorsa legislatura. Il piano, tuttavia, ha mostrato da subito la sua insostenibilità economica sia per il tessuto manifatturiero e industriale (pensiamo all’automotive), sia per gli agricoltori, che costituiscono tradizionalmente una quota rilevante di elettorato dei popolari.
Così, già nel precedente congresso di Bucarest, prima delle elezioni europee, i popolari, anche in quel caso con una grande spinta di Forza Italia, decisero una rotta di allontanamento rispetto a quell’impostazione delle politiche green. Una sterzata che segnò un cambio di equilibri anche interni, con le componenti dei Paesi nordici, notoriamente più ligi rispetto ai dogmi green, in posizione subordinata rispetto alla svolta pragmatica di cui sono stati interpreti italiani e tedeschi.
TENTATIVO
Ieri, Paula Pinho, portavoce della presidente della Commissione Ue, sollecitata sul punto ha affermato: «Posso confermare che Ursula von der Leyen sostiene pienamente il Green Deal, che è stato una delle sue iniziative principali sin dal primo mandato». Tentativo ecumenico di non spaccare la maggioranza che la sostiene, secondo un’interpretazione più bonaria. Segnale interno tedesco, di contenimento rispetto all’attivismo di Merz, secondo una chiave di lettura più tagliente. Però nulla toglie al segnale arrivato dal congresso di Valencia, ovvero di un Ppe intenzionato a giocare fino in fondo il ruolo di partito-architrave della Commissione europea, guardando al rafforzamento delle sinergie di centrodestra.