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Ue, vertice sull'allargamento: ecco chi entra e chi resta fuori

di Carlo Nicolatomercoledì 5 novembre 2025
Ue, vertice sull'allargamento: ecco chi entra e chi resta fuori

3' di lettura

Ucraina, Moldavia, Montenegro e Albania sono ben posizionate sulla strada per Bruxelles, ma non ci saranno corsie preferenziali. Bocciata invece la Georgia e rimandate a data da destinarsi Serbia, Macedonia del Nord, Kosovo, Bosnia-Erzegovina e Turchia. È questo in sostanza il risultato del vertice sull’allargamento dell’Unione Europea che conta di riaprire le sue porte abbastanza in fretta, cioè nel 2030.

Il percorso tuttavia non è così scontato e lineare come sembra e ci sono anche dei distinguo importanti. Le posizioni di Ucraina e Moldavia sono molto simili, l’una alle prese con «l’incessante guerra di aggressione della Russia», l’altra con «le continue minacce ibride» e i tentativi di destabilizzazione, si legge nei relativi documenti Ue. Entrambe hanno fatto i compiti, hanno «adottato tabelle di marcia in materia di Stato di diritto, pubblica amministrazione e funzionamento delle istituzioni democratiche» e soddisfatto varie misure richieste. Ma se per la Moldavia si tratta di continuare sulla stessa strada per concludere i negoziati di adesione entro il 2028, processo «ambizioso ma realizzabile», per l’Ucraina è necessaria una sostanziosa accelerata, specie «per quanto riguarda gli elementi fondamentali, in particolare lo Stato di diritto».

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La Commissaria per l’allargamento Marta Kos è stata anche più chiara su Kiev: è necessario, ha detto, «prevenire qualsiasi rischio di regressione, in particolare in materia di lotta alla corruzione». Il riferimento è alla figuraccia della scorsa estate del presidente Volodymyr Zelensky sulla legge, poi ritirata solo in seguito alle proteste dei cittadini, che ripristinava il controllo del governo sulle agenzie anticorruzione.

Un danno d’immagine che ancora pesa sul giudizio della Commissione che non ha mai dimenticato come l’Ucraina fosse fino a pochi anni fa considerato uno dei Paesi più corrotti del mondo. Nel suo rapporto sull’Ucraina, la Commissione ha fatto esplicito riferimento al fatto che «ci sono alcuni elementi di notevole preoccupazione, in particolare nel garantire un quadro anticorruzione solido e indipendente» e che sono stati compiuti «progressi limitati». Anche a questo si riferiva l’Alto commissario per gli Affari esteri Kaja Kallas quando durante il suo intervento ha chiarito che l’Ue «non prenderà scorciatoie e non offrirà scorciatoie», e che il processo di adesione sarà «un processo equo, rigoroso e basato sul merito».

Ovviamente sulla questione è intervenuto anche Zelensky il quale, insieme alla presidente moldava Maia Sandu, sta cercando di mettere pressione alla Ue affinché acceleri il procedimento. «L’Ucraina sta lottando per la sua indipendenza e il nostro futuro è nell’Ue, che è parte della nostra indipendenza», ha detto Zelensky.

Il presidente ucraino ha auspicato che il processo sia breve ma ha riconosciuto che questo «non dipende da noi». «Quanto prima l’Ucraina sarà in grado di aprire i cluster e di avviare negoziati a pieno regime, tanto meglio sarà per noi», ha aggiunto. Sulla strada dell’Ucraina però non c’è solo la corruzione ma anche Viktor Orban.

Zelensky ha rifiutato categoricamente di prendere in considerazione l’idea di presentare un’offerta speciale all’ungherese Orban per convincerlo a ritirare il suo veto, magari relativamente alle minoranze ungheresi in Ucraina, aggiungendo che la sua continua opposizione al processo di adesione è solo vantaggiosa per la Russia. Sul punto l’Europa sta studiando il modo per aggirare il veto di Budapest. La Commissione sta cercando delle soluzioni e ora sta valutando la possibilità di richiedere al Consiglio un «mandato per proseguire le discussioni all’interno dei gruppi di lavoro, senza dover chiedere il via libera per ogni fase dei negoziati», ha spiegato Marta Kos.

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In ogni caso prima di Ucraina e Moldova dovrebbero arrivare a chiudere i negoziati Montenegro (nel 2026) e Albania (nel 2027), mentre non c’è una data per gli altri candidati, dove emergono maggiori criticità: Serbia, Macedonia del Nord, Bosnia-Erzegovina, Kosovo, Turchia e Georgia. Su quest’ultima, la commissione rileva che è in atto «un grave regresso democratico caratterizzato da una rapida erosione dello Stato di diritto e da severe restrizioni dei diritti fondamentali. Ciò include una legislazione che limita fortemente lo spazio civico, compromette la libertà di espressione e di riunione e viola il principio di non discriminazione». Per questo, si legge nel documento, «la Commissione considera la Georgia un Paese candidato solo di nome».

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