Cerca
Logo
Cerca
+

Emilio Fede, blitz della polizia in piena notte: "Tutti i permessi in regola", l'ultima vergogna

Esplora:

Giordano Tedoldi
  • a
  • a
  • a

 Emilio Fede è un signore di novant' anni, infermo (si sposta su una sedia a rotelle) che giovedì ha perso la moglie, giornalista come lui, Diana de Feo. Lei viveva a Napoli, lui sta a Milano, così ha chiesto l'autorizzazione al Tribunale di sorveglianza della sua città per partecipare alle esequie della consorte: infatti sta scontando, in affidamento ai servizi sociali, una pena a quattro anni e sette mesi per il suo coinvolgimento nel cosiddetto caso Ruby - ricorderete, la presunta nipotina di Mubarak, le olgettine, le serate allegre a Arcore... Cose di questo tenore: non ci permettiamo di soppesarle sul piano giuridico, quello è il lavoro dei magistrati, ma certo non delineano una pericolosità criminale pari a quella di Al Capone. Eppure, singolarmente, forse per meri automatismi burocratici, il nonagenario invalido Emilio Fede viene fatto oggetto di controlli e sorveglianze che lo fanno apparire più letale di un capomafia. La certezza della pena, concetto non di rado puramente teorico nei confronti di personaggi rei di gravi delitti, con Emilio Fede - e ripetiamo, sarà una casualità -, diventa una morsa implacabile. Un anno fa, sempre a Napoli, dove era sceso per cenare con la moglie in occasione del di lei compleanno, gli agenti della polizia l'avevano arrestato al ristorante. Diciamo che ci sono modi meno traumatici di far notare a un uomo molto anziano che non aveva ancora ottenuto l'autorizzazione ad allontanarsi da Milano, pur avendola regolarmente chiesta. Perché di questo si trattava.

 

 

La vicenda suscitò scalpore, perché anche chi non ha mai amato Fede per le sue posizioni politiche e per il suo giornalismo, non poté fare a meno di notare un certo eccesso nelle modalità di intervento. Poi naturalmente ci sono quelli per cui Fede, se non altro perché deve scontare la sua fedeltà berlusconiana, deve morire a prescindere, come direbbe Totò, e con quelli c'è poco da ragionare. Ma lasciamo perdere gli eterni rancorosi (che farebbero bene a scrutare dentro se stessi) e torniamo a Fede. Giovedì, nella chiesa di San Gennaro ad Antignano, al Vomero, assiste ai funerali della moglie, con la quale era sposato da sessant'anni. La sera cena al ristorante con la figlia Sveva, poi torna al suo albergo, il Santa Lucia di Napoli. Nella notte, intorno alle quattro di mattina, viene svegliato dagli agenti della polizia, che prima lo fanno chiamare in camera dalla portineria, poi bussano alla porta della donna che lo assiste perché, si è detto, è vecchio e non autosufficiente.

 

 

Quindi, altra irruzione nella stanza di Fede, sempre per il medesimo moti vo che lo fece arrestare al ristorante con la moglie un anno prima: controllare che il Tribunale di sorveglianza di Milano abbia autorizzato la trasferta napoletana. Stavolta però, riferisce lo stesso Fede, dopo le verifiche durate circa un'ora, nei documenti suoi e anche della sua assistente era tutto a posto. E Fede è rimasto a Napoli, da dove, scaduto il permesso, tornerà a Milano. Ora, dal punto di vista procedurale, immaginiamo che non si possa eccepire nulla alle forze dell'ordine e ai magistrati responsabili di queste operazioni. Però la giustizia non può essere una macchina cieca e impersonale, fredda e burocratica, perché diventa vessazione. La giustizia la fanno gli uomini, non un algoritmo, e quindi bisognerebbe che fosse umana in tutti i suoi atti. Umanità vuole, ad esempio, che un novantenne malato cui è notoriamente morta la moglie, possa ottenere un trattamento meno aspro se gli si vogliono controllare i documenti. Altrimenti ha ragione lui a esclamare: «Dimenticatevi di me!» e a domandarsi in che paese siamo. Si badi, facciamo questo discorso a favore di Fede, ma lo faremmo pari pari nei casi analoghi di cittadini sconosciuti. Fede, naturalmente, per via della sua popolarità, diventa un caso, ma temiamo che altrettanta eccessiva rigidità colpisca anche altri che, come lui, scontano una pena pur non essendo, con ogni evidenza, il mostro di Firenze. Uomini che avete l'onere di amministrare la giustizia e di applicarla: non dimenticatevi della dignità delle persone. 

 

Dai blog