Magistrati, l'analfebetismo non è un diritto nemmeno per le toghe
Ha ragione il mio amico Vittorio Feltri quando dice che i caproni ci sono un po' dappertutto e non solo tra i magistrati. Abbiamo avuto un due volte presidente del Consiglio pressoché analfabeta, ed era pure avvocato e docente universitario, il che dimostra in un colpo solo che l'essere ignoranti abbestia non è impedimento per appartenere ad almeno altre tre categorie, politici, azzeccagarbugli e professori. Solo che, se lo specialista in strafalcioni è un insegnante, il peggio che ti capita è che ti impara male l'italiano: cosa grave, ma si sopravvive. Oppure l'avvocaticchio che allestisce un ricorso sgrammaticato: al più, non lo paghi, o ne scegli un altro. E così, ancora, il politico incapace di tenere una frase entro margini decenti di correttezza: lo spernacchi, non lo voti, e amen. Ma il magistrato, no: perché quello, con la sua prosa in sobbuglio, te lo becchi e ti fa nero. Dice: va beh, ma non è che una sentenza ingiusta diventa migliore perché è scritta bene; e un'altra, se invece è giusta, facciamocela andar bene anche se è scritta come parla Di Maio. Eh, no. Perché uno si aspetta che chi ha il potere di giudicare le persone, e di sbatterle in prigione, abbia cognizioni superiori a quelle che può vantare - sia detto con il rispetto dovuto alla categoria -il venditore di lupini. E mentre non è detto che meriti di poter rendere giustizia un erudito, è tuttavia difficile da digerire che a renderla sia incaricato uno che meriterebbe di essere rispedito alle elementari, altro che toga e ordinanze sbilenche in nome del popolo italiano. Il magistrato che mi condanna maciullando, oltre che la mia vita e i miei beni, la nostra povera lingua, io lo considero come il rapinatore di strada che mi intima di uscrigli i soldi.